Da studentessa cafoscarina a inventrice, il passo – dice – è stato breve. Affascinata da una lezione sull’efficacia della biopulitura della pietra, ma delusa dalla scarsa applicabilità della tecnica sul patrimonio artistico, la ventinovenne veneziana Irene Scarpa, durante gli studi all’Università Ca’ Foscari di Venezia ha pensato che una soluzione ci doveva pur essere. E l’ha trovata nella sinergia tra sistemi biologici e nanoparticelle inorganiche, sviluppando un prodotto che è stato brevettato e darà vita presto a uno spin-off universitario.
«Irene aveva idee chiare e tanta determinazione», ricorda Loretta Storaro, docente di Chimica dei nanomateriali al Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi, parte del team interdisciplinare che ha permesso lo sviluppo di Nasier Gel, questo il nome scelto dalla giovane inventrice veneziana per il suo prodotto, che ha già superato i test degli addetti ai lavori, riscontrando l’interesse di restauratori e soprintendenze, dalle Terme di Caracalla a Padova passando per collezionisti privati che hanno constatato l’effetto pulente del gel anche sulla tela di un quadro.
«Il risultato – sottolinea ancora Storaro – è frutto di uno studio tra bio e nanotecnologie e dell’unione di queste col mondo del restauro. C’è stato un dialogo tra due mondi, quello della ricerca accademica e quello dell’impresa». Basti pensare a statue, facciate in pietra, monumenti esposti alle intemperie che sono terreno fertile per i microorganismi responsabili del proliferare di licheni e della caratteristica patina biologica, nera o verdastra, che spesso li ricopre. Per pulire il prezioso patrimonio artistico italiano finora di solito si utilizzavano prodotti chimici tossici o prodotti enzimatici costosi e laboriosi da applicare.
«Lavorando a questo nanocomposito, abbiamo ingegnerizzato un sistema che consideravamo promettente, ma che ha superato le aspettative – aggiunge Pietro Riello, professore di Chimica fisica -. Il prodotto ha dei costi superiori a quelli convenzionali in commercio, ma i vantaggi sono evidenti in termini di riduzione di tempi di applicazione, atossicità, semplicità, versatilità e durata dell’effetto. La qualità si ripaga. Inoltre, nel corso delle sperimentazioni: siamo riusciti a ridurre i costi di produzione del composito nanostrutturato da 500 a 180 euro al chilo, aprendo la strada all’idea di uno spin-off. La ricerca non finisce qui, naturalmente, e la speranza è quella di trovare un partner industriale».
Nei laboratori del Campus Scientifico di Ca’ Foscari continuano intanto le sperimentazioni su vari manufatti. Con Irene Scarpa collabora Elisabetta Bullo, laureanda in Scienze chimiche per la conservazione e il restauro. Hanno svolto gli ultimi test sui licheni che ricoprivano una statuetta di cemento: nel giro di una ventina di minuti, il gel ha degradato la patina biologica e portato via con sé tutte le impurità.
«Il gel attacca solo la patina, non la superficie dell’opera – spiega Irene – . Le matrici nanostrutturate hanno delle vastissime potenzialità. La dimensione nanometrica delle particelle aumenta la superficie di contatto con la patina biologica da rimuovere, consentendo di utilizzare pochissimo prodotto rispetto ai metodi tradizionali e di avere un tempo di azione molto breve».