Centri contro la violenza alle donne, se il Sud soffre di più

imageMafia, disoccupazione, sbarchi di clandestini.  Sono alcuni dei problemi del Sud Italia che spesso oscurano e fanno passare in secondo piano quello, altrettanto importante, della violenza contro le donne. Lo denuncia Loredana Piazza, avvocata penalista e socia fondatrice del centro antiviolenza Thamaia di Catania. Una delle poche realtà siciliane che resiste e non chiude nonostante non abbia avuto nel tempo, denuncia Piazza, né finanziamenti pubblici stabili né convenzioni.

A Sud i casi di femminicidio e di violenza contro le donne non mancano – tra i recenti quello della donna di Misterbianco, nel catanese, uccisa dall’ex fidanzato della figlia -, ma i centri antiviolenza sono pochi e spesso lasciati alla buona volontà delle socie. Il centro Thamaia di Catania è l’unico nella città etnea (e uno dei quattro in Sicilia assieme a un centro palermitano, uno a Messina e uno a Piazza Armerina di fresca apertura) ad aderire all’associazione nazionale D.i.Re, donne in rete contro la violenza. Il centro catanese, basato sul volontariato, funziona a singhiozzo. Attualmente, per esempio, è aperto quattro giorni la settimana per mezza giornata. In generale, nel panorama nazionale dei centri antiviolenza, il Sud, sottolinea Piazza, “è quello messo peggio”.

Inizialmente il centro Thamaia aveva anche una casa rifugio a indirizzo segreto che purtroppo è poi stata chiusa per mancanza di fondi. “Abbiamo dovuto – spiega Piazza, presidente dal 2007 – dismettere la casa rifugio, ma siamo riusciti a tenere aperto il centro grazie a finanziamenti privati e alla partecipazione a bandi pubblici”, come quello voluto nel 2012 dall’allora ministra Mara Carfagna. L’attività tuttavia non può basarsi sulla continuità dei fondi e questo, denuncia la presidente Piazza, “non è sostenibile. Noi siamo stacanoviste e non molliamo le nostre donne, il problema è per le nuove richieste”.

Oltre all’assistenza alle donne, il centro Thamaia fa attività nelle scuole, cercando di agire a livello culturale. “Crediamo – spiega Piazza – che quello della violenza contro le donne sia un problema culturale,  non di mancanza di leggi o di momenti di follia” degli uomini violenti . Anche la polemica sulle atlete ‘cicciottelle’ o l’interesse per il lato B delle partecipanti alle Olimpiadi, secondo la presidente di Thamaia, va letta nell’ottica di una carenza culturale che fa guardare alla donna sempre da un unico punto di vista. Certo l’attività del centro, l’affitto dei locali e la retribuzione delle operatrici che hanno come unico impiego l’attività al centro antiviolenza necessita di fondi. “Servono finanziamenti, li abbiamo chiesti a tutte le amministrazioni. E ci vorrebbe proprio la riapertura – conclude Piazza – della casa rifugio a indirizzo segreto”.