L’adozione: un percorso collettivo

vadrucciSui mass media si è parlato spesso e si continua a parlare di adozione in questi mesi. Ma in cosa consiste principalmente questo percorso spesso presentato superficialmente come uno dei modi per dare un figlio a chi non ce l’ha? Se guardo indietro alla mia esperienza personale, quello che prevale nettamente è la sensazione di avere condiviso un lungo percorso collettivo.

Dopo gli anni bui passati nella vana ricerca del concepimento di un figlio, il dolore intimo dell’infertilità e la sua lunga personale elaborazione, quando si sceglie la via dell’adozione c’è un netto cambio di rotta. Perché dal guscio chiuso e avvolgente della coppia ci si apre al mondo esterno. Non è un passaggio facile, né immediato. È un atto di fiducia e di speranza.

Subito dopo aver consegnato la disponibilità all’adozione, mentre aspettavamo di essere convocati dai servizi sociali, abbiamo seguito un corso formativo con una delle associazioni di genitori adottivi presenti sul territorio. Associazioni di volontari, che ogni giorno all’adozione dedicano le loro energie. Mi aspettavo il classico corso, qualcuno che parla per ore a una platea che ascolta prendendo appunti. E invece ci siamo trovati seduti in cerchio, con altre coppie e una psicologa a guidarci. “Ogni coppia si presenti brevemente e spieghi agli altri a che punto è del percorso.” Mica facile. In pochi minuti abbiamo descritto velocemente come eravamo arrivati lì. E ascoltato gli altri. Molte storie erano simili alla nostra. Storie di dolore, di tentativi falliti: chi aveva provato la fecondazione assistita, facendo anche diversi tentativi, chi aveva avuto aborti ripetuti… Piano piano ci siamo aperti, perché ti rendi conto che chi è seduto di fianco a te non è lì per giudicarti ma ha vissuto le tue stesse sensazioni. E sa esattamente quello che provi.

Dopo il corso, gli appuntamenti con i servizi sociali. E gli incontri non sono più così rilassati, soprattutto il primo. Mani sudate, cuore a mille: “Avrò risposto bene?”. Ma con l’andare degli incontri la situazione si stempera, prevale il confronto. E alla fine, guardando in prospettiva, si capisce che anche le provocazioni dello psicologo avevano una ragion d’essere: perché i bambini, quando poi arrivano davvero, sono spesso arrabbiati, e provocano, eccome se provocano!

E finalmente, con l’idoneità in mano, la ricerca dell’ente a cui affidare il mandato: ovvero le persone che dovrebbero aiutare e garantire le coppie a realizzare il desiderio più grande. Ne abbiamo incontrati una decina di enti, prima di scegliere quello in cui ci sentivamo a casa. Ognuno con un approccio completamente diverso: quello manageriale, quello cattolico, quello schietto e diretto, quello razionale e organizzato… Ogni volta una persona diversa a rappresentarlo: a volte una coppia di genitori, a volte un impiegato dell’ente… La scelta non è facile.

Noi abbiamo scelto quello che garantiva una formazione continua, che non ci avrebbe lasciati da soli a gestire la lunga attesa una volta firmato il mandato. E così si è formato un gruppo di varie coppie, che ha iniziato insieme e che è andato avanti a incontrarsi regolarmente per un anno anche dopo che i bambini erano arrivati. Con tante coppie si è creata una vera amicizia. Abbiamo condiviso l’incertezza dell’attesa e la gioia delle partenze. Ancora oggi quando ho un dubbio, un problema, un momento di sconforto, alzo il telefono ed è con loro che mi confronto.

Perché l’adozione è fatta di persone che lavorano silenziosamente ogni giorno per il bene dei minori in difficoltà. Come il nostro referente in Etiopia, che nella foto che abbiamo scattato durante il primo viaggio in quel meraviglioso Paese piange commosso di gioia in mezzo alle nostre figlie.

Naturalmente ci sono delle falle nel sistema. Questa collaborazione, questo supporto dovrebbero continuare anche e soprattutto negli anni che seguono l’arrivo dei bambini, quando invece spesso le famiglie rimangono sole a gestire eventuali problematiche. I servizi sociali ci sono, ma non sono sufficienti e soprattutto esistono delle forti disparità territoriali. Bisognerebbe garantire un sistema più coordinato e organizzato a livello nazionale, di facile accessibilità, che possa supportare sia le famiglie adottive nelle fasi cruciali come l’adolescenza o per criticità particolari, sia le coppie di aspiranti genitori se durante l’iter dovessero incontrare degli ostacoli nel percorso.