La finanza resta ancora un campo da gioco maschile. La rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione (20% dal 18% del 2013) e nei comitati esecutivi (16% dal 14% del 2013) continua a crescere, ma il passo di crescita risulta in rallentamento. Tanto che se continuassimo a questa velocità si arriverebbe al 30% di donne nei comitati esecutivi solo nel 2048. La fotografia emerge dal Women in Financial Services di Oliver Wyman, che ha preso in esame 381 organizzazioni in 32 Paesi al mondo.
Le variazioni da Paese a Paese sono consitenti. Nessuna sorpresa sul fatto che la classifica relativa ai ruoli esecutivi sia guidata dalla Scandinavia, con la Norvegia maglia rosa per il suo 33%, seguita dalla Svezia (32%). Più sorprendente, invece, il terzo posto della Thailandia con una rappresentanza femminile al 31% e a seguire il piazzamento del Sud Africa con il 27%. Per trovare l’Italia bisogna arrivare a metà della lista: siamo al 16% in linea con la media mondiale. Certo in Europa fa molto peggio di noi la Svizzera, che di finanza se ne intende, con il suo esiguo 5% giusto sopra la Corea del Sud (4%) e il Giapppone (2%).
La mappa dell’Italia
Il trend positivo coinvolge anche l’Italia. La presenza di donne nei consiglio di amministrazione e di sorveglianza è cresciuta dal 5% nel 2003 al 26% nel 2016, anche grazie alla legge Golfo-Mosca che obbliga a quote di genere le società quotate a Piazza Affari. Nei comitati esecutivi l’evoluzione è stata ancor più marcata: si è passati dallo 0% nel 2003 al 17% di quest’anno. “In molti istituti finanziari, nonostante una sostanziale
parità di genere al momento dell’ingresso in azienda, il numero di donne con un inquadramento contrattuale di quadro o dirigente è molto lontano dalla parità:
mediamente, è donna il 30% dei quadri e il 13% dei dirigenti. Sebbene le percentuali osservate scontino l’effetto delle generazioni in cui le donne erano meno
presenti nel mondo del lavoro, questo aspetto non è sufficiente per spiegare lo squilibrio” si legge nel report di Oliver Wyman. In pratica: il settore finanziario in Italia ha una presenza di donne superiore ad altri comparti fra i quadri, ma risulta incapace di promuovere i talenti alla stanza dei bottoni in posizioni di leadership. “Mai come adesso per l’industria finanziaria sarebbe necessario arricchire e diversificare la propria leadership e valorizzare in posizioni apicali le tante donne che già al suo interno operano con eccellenza a tutti i livelli. E’ necessario cambiare mentalità e approccio alla diversity per migliorare l’industria” ha commentato ieri in occasione della presentazione del report Andrea Federico, partner di Oliver Wyman e uno degli autori del report italiano.
Diversi i fattori che limitano l’evoluzione della strattura dei vertici italiani in finanza: il retaggio culturale e il rischio di autoesclusione delle donne; le iniziative interne alle
aziende per promuovere la parità di genere sono di scarsa visibilità ed impatto; inoltre il percorso di carriera nelle aziende italiane di servizi finanziari è percepito come “verticale” e basato sulla specializzazione per famiglie professionali, con minime opportunità di rotazione tra funzioni aziendali.Senza contare poi che “lo stile di lavoro in Italia valorizza la presenza fisica in ufficio e la cosiddetta “flessibilità”, con richieste di disponibilità continua e immediata, soprattutto all’avanzare della carriera, osservano da Oliver Wyman, sottolineando anche la lentezza del ricambio generazionale.
Le soluzioni ci sarebbero: credere davvero nella flessibilità e passare soprattutto dalla gestione del personale alla gestione dei talenti. Due semplici cambiamenti. Che sarebbero epocali e gioverebbero a tutti.