È di questa settimana la notizia che la cooperativa Archilabò darà 15 giorni di congedo obbligatorio ai padri. Bella la notizia e ancora più bella la spiegazione: “i padri devono poter acquisire senso di responsabilità”, un’opportunità ancora prima che un diritto.
E sulle donne: “La selezione del personale privilegia proprio lavoratrici sui trent’anni (cioè quelle maggiormente «a rischio cicogna») perché crede nelle capacità di organizzazione delle mamme, capacità che poi per osmosi viene trasferita sul posto di lavoro”.
Pensieri possibili, che anticipano un’(impossibile?) evoluzione della legge italiana, che oggi attribuisce ai padri un diritto della durata di appena due giorni, nonostante da tempo giaccia da qualche parte una proposta della vicepresidente del Senato Valeria Fedeli di portare questo periodo a due settimane. Due giorni, due settimane… in questa anacronistica partita ai minimi termini, il recente paper di Volta rilancia con la proposta di due mesi di congedo, ma ben motivati.
Numerose ricerche provano infatti che, se la cura è condivisa:
il figlio cresce meglio;
aumenta la natalità;
diminuisce il gender gap, sia in termini di occupazione che di retribuzione e possibilità di carriera delle donne;
aumenta il coinvolgimento dei padri in tutte le attività domestiche;
migliora il rapporto di coppia.
Inoltre, gli studi sui Millennial rivelano che la voglia e l’esigenza di un maggiore equilibrio tra vita e lavoro riguarda sia uomini che donne: i migliori talenti sceglieranno aziende che possano garantire la loro piena realizzazione adulta anche nella paternità.
Infine, gli effetti di una paternità condivisa sarebbero notevoli anche in termini di riduzione di diversi costi di natura sociale, educativa ed economica, come ha scritto recentemente Cathy Allen, presidente di The Connections Group e co-fondatrice e eco di CWD.
“Ogni volta che vedo due genitori che si prendono del tempo per curare i propri figli, per dar loro quella continuità affettiva così indispensabile specie nei primi anni di vita, li ringrazio. Li ringrazio per l’America, perché so che ci saranno bambini più sani, meno a rischio di esclusione sociale e di devianza, con più probabilità di non avere problemi scolastici e quindi di trovare, nel futuro, una collocazione lavorativa adeguata. Tutto questo significa, tra l’altro, molti meno costi per l’amministrazione pubblica”.
Insomma non resta che chiedersi: che cosa stiamo aspettando per dare anche agli uomini il diritto alla paternità?