“Il digitale sta trasformando tutte le aziende, che hanno sempre più bisogno di persone che siano in grado di indirizzare le tecnologie nelle direzioni più innovative. C’è bisogno di persone con competenze digitali ma anche con conoscenze tecniche in altri comparti sia per le imprese industriali sia per quelle di servizi. Non bisogna limitarci a pensare solo allo sviluppo delle tecnologie quando si parla degli 800mila posti che si potranno creare da qui al 2020 nel settore tech”. Mauro Meanti, amministratore delegato di Avanade in Italia di cui ha già parlato Sandra Mori (presidente di Valore D) in un’intervista ad alley Oop, pensa che fare stime di medio lungo periodo sia difficile, ma che certamente il digitale continuerà a creare posti di lavoro. Avanade, joint venture fra Microsoft e Accenture, occupa oggi in Italia 750 dipendenti in 6 sedi (Milano, Roma, Firenze, Siena, Cagliari e Torino) e per l’anno fiscale in corso, iniziato a settembre, è prevista l’assunzione di 130 persone. Di questi, il 25% saranno donne, mentre il 60% saranno giovani neolaureati, assunti con forme contrattuali di apprendistato e a tempo indeterminato.
La percentuale di donne nel settore resta ancora molto bassa. E’ un’opportunità che stiamo perdendo?
Più che altro si tratta di un’opportunità persa per le le aziende. I prodotti e i servizi sono consumati dall’intera popolazione, che per metà è donna. Avere una prospettiva solo maschile è già limitante di per sé, perché un uomo ha già un limite nel capire le esigenze delle donne. Ad oggi le società tecnologiche, ad esempio, hanno solo una percentuale del 20% di donne, ma è un problema che nasce a monte.
Già a scuola?
Sì, il problema nasce nelle scuole primarie e superiori, dove i modelli dei lavori futuri sono ancora stereotipati. Già il nome con cui si definisconocerte facoltà è poco attraente: le materie scientifiche vengono chiamate “dure”. Bisogna rompere lo stereotipo e trovare il modo di dare più autostima e consapevolezza alle ragazze: non ci sono materie prime elettive per gli uni e altre materie per le altre. Nelle imprese coma Avanade, c’è un problema in ingresso proprio per questo: le università tecnologiche sfornano più maschi che femmine. Per cambiare questa situazione bisogna prendere iniziative che siano fatte in modo capillare, come ad esempio “Nuvola Rosa”, con cui andiamo nelle scuole a spiegare che questo indirizzo di studi può essere un’opportunità, che non sono richieste doti maschili e che le aziende sono inclusive.
L’impegno delle aziende non deve finire subito dopo l’assunzione però…
Una volta assunte, è necessario costruire un’azienda con le caratteristiche che le giovani cercano. C’è uno studio sui millennials che evidenzia come le ragazze chiedano come prima cosa la parità retributiva. Inoltre cercano opportunità di sviluppo e aziende che abbiano uno scopo, una visione. Un secondo momento critico nella carriera delle donne è poi quando si incontrano fasi di discontinuità dovute alla maternità o ad altri impegni familiari. Negli ultimi 30 anni se ne è parlato tanto, ma non è cambiato molto all’interno delle imprese.
E’ solo un problema aziendale?
Le politiche aziendali possono arrivare fino ad un certo punto. E’ necessaria una politica statale e privata che rompa lo stereotipo per cui la cura è vista a carico della donna. Anche piccoli segnali come rafforzare e rendere obbligatorio il congedo paterno è molto importante. Un giorno solo, come è oggi per legge, è ridicolo. Poi sono necessarie politiche fiscali che aiutino le coppie che lavorano e hanno figli. Ad esempio, le norme relative al flexben, contenute nella legge di stabilità, sono troppo lasche e barocche: viene legata questa opzione, ad esempio, alle aziende che riconoscono un bonus. Parte di questo bonus può essere riconosciuto come benefit flessibile, che viene detassato. E’ una norma, poi, distribuita a pioggia, mentre forse sarebbe opportuno indirizzarla con uno scopo. Ad esempio alle coppie che stanno per avere figli, in modo da indirizzare lo sforzo finanziario verso un obiettivo, in questo caso combattere il calo di natalità.
Cosa fate nel concreto in Avanade?
Abbiamo un controllo della parità salarial a parità di ruolo aziendale con una reportistica mensile e un monitoraggio del flusso delle promozioni diviso per genere per assicurare che non ci siano fenomini discriminatori. Abbiamo, inoltre, regole di rappresentanza femminile nel processo di assunzione sia tra i selezionatori sia fra i candidati. In azienda, poi, abbiamo attività di mentorship e di rete differenziate per i diversi livelli di esperienza per facilitare la crescita professionale delle donne in azienda e corso di formazione dedicati al tema della inclusione e della diversità. Puntiamo anche sul lavoro intelligente con flessibilità d’orario compatibilmente con le esigenze di progetto, possibilità di lavorare da casa quando è necessario, part time, gestione della valutazione delle persone basata sul raggiungimento degli obbiettivi e formazione dei manager per permettere la gestione corretta dei team con queste modalità. Lavoriamo, infine alla creazione di comunità locali (Girls Geek Dinner, in Sardegna) per creare comunità tra le ragazze interessate ai temi tecnologici.
Quante sono le donne in posizione apicale in Avanade?
Attualmente in Avanade Italy la percentuale di donne in posizioni apicali, ovvero con responsabilità di funzione, è oggi superiore al 31%. Credo, però, che bisognerebbe avere indicatori più specifici della solo percentuale di donne in un’azienda: quanto tempo ci mette ad esempio una donna a ottenere una promozione dopo una maternità? E bisognerebbe avere politiche di incentivazione o disincentivazione fiscale per le aziende in base ad alcuni parametri di questo tipo.