Se io fossi il piccolo Armaan, oggi, sarei nata arrabbiata. La sua mamma lo ha partorito a 70 anni e non ci sarà il giorno della sua laurea, magari in una delle tante discipline hi-tech che sono il fiore all’occhiello dell’India contemporanea. Con buona probabilità, non ci sarà nemmeno alla consegna del suo diploma. Magari non sarà lei ad accompagnarlo al parco quando avrà cinque anni, a giocare con gli amici: piuttosto, potrebbe essere lui, a doverla accompagnare a fare la spesa, perché da sola non ce la farà a camminare. O non si ricorderà qual è la strada di casa, che dopo i 75 anni a volte la memoria fa brutti scherzi
Fossi il piccolo Armaan, oggi, sarei arrabbiata anche con mio padre. Che di anni addirittura ne ha 79 e che potrebbe non arrivare nemmeno a vederlo dire le prime parole. Siamo in India, che diamine: la speranza media di vita media qui è di soli 66 anni.
Se invece oggi fossi la sua mamma, Daljinder, nonostante gli acciacchi dell’età e del parto, sarei la donna più felice del mondo. Il nome che ha dato al suo piccolo la dice lunga: Armaan, nella sua lingua, vuol dire “desiderio”. Un desiderio che ha atteso per ben 46 anni di matrimonio. Un miracolo della fecondazione eterologa (quella che si fa grazie all’ovulo di una donatrice). La fine di una maledizione per la quale ha pianto molte notti, nel suo letto: la sterilità, in India, è una punizione divina.
Il mio pensiero va alle tante donne, e ad alcune amiche, che di figli non hanno potuto averne. Che nonostante qui da noi la sterilità sia socialmente riconosciuta, a volte l’hanno vissuta comunque come una maledizione nel segreto dei loro pensieri, nel buio delle loro notti. Che dicono di non provarci più, perché ormai sono vecchie, ma in cuor loro sperano ancora in un piccolo, grande miracolo.
Armaan o Daljinder? La verità è che ad oggi non ho ancora deciso da quale parte stare.