Un secondo. Le volpi blu in paradiso.

Dovrei dire che lo sapevo, che poteva succedere perché la palla è rotonda, ogni avversario va rispettato, ma… santo cielo, al di là di quella roba vuota che i calciatori e gli allenatori (e io sono stato calciatore prima e allenatore ora) raccontano in conferenza stampa, la palla sarà anche rotonda ma c’è chi la sa fare rotolare meglio e ci sono avversari che non ti rispettano affatto, che ti prendono a cazzotti che neanche Tyson quando era incazzato.

Poi, parliamoci chiaro, a maggio del 2014 questa squadra vinceva la Championship inglese, ovvero la Serie B, e saliva in serie A, dopo che l’anno prima aveva buttato via lo spareggio per ottenere lo stesso risultato sbagliando un rigore al 96° e subendo gol sull’azione successiva. E se guardo la foto ricordo di quella promozione vedo facce che oggi saranno immortalate in immagini che avranno ben altra diffusione: Daniel Drinkwater, Kasper Schmeichel, Wes Morgan, Jeffrey Schlupp.  E James Vardy, che cinque anni fa giocava in ottava serie, con la squadra delle acciaierie British Steel.

In quella foto non c’ero io, ovviamente. Vichai Srivaddhanaprabha (eh, sì, il proprietario della squadra si chiama proprio così!) puntava tutto su Nigel Pearson come allenatore. Peccato che suo figlio sia stato beccato in un’orgia a Bangkok. Peccato che il figlio giocava nel Leicester. In Italia ci si sarebbe riso sopra, qua hanno fatto piazza pulita. Così sono arrivato io, chi altro avrebbe accettato di prendere in mano una squadra mediocre, a preparazione già iniziata e mercato fatto? Ma quale altra squadra mi avrebbe offerto una panchina? Venivo da un’esperienza orrenda con la nazionale greca, ero riuscito a perdere con le Fær Øer, provate a trovarle su una mappa. E in Premier League non allenavo da dieci anni, da quando il mio posto al Chelsea venne preso da uno strapagato sbruffone portoghese.

Un allenatore a fine corsa alla guida di una squadra che si era salvata all’ultima partita. Cosa ci poteva essere di peggio? I bookmaker ritenevano più probabile che Elvis fosse vivo: ci quotavano 5000 a 1. Il mio esonero invece era dato a… ma cosa importa adesso?

Per fortuna, nel calcio, non sempre due più due fa quattro. Ecco, sto ricominciando a parlare per frasi fatte, ma cosa ci volete fare? Sono vecchio di questo mestiere, anzi vecchio e basta come signorilmente disse lo strapagato pallone gonfiato. Un pallone gonfiato che ho contribuito a far esonerare, con la mia squadra fatta da ex dilettanti, scarti del campionato francese e gente che con questa maglia blu, quella delle Foxes, delle volpi, ha giocato sui campi spelacchiati delle serie minori.

Perché, caro José, guarda bene a chi appartengono le mani che solleveranno il trofeo della Premier League tra un secondo.

Ecco, ora è mia.

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Un secondo. Quanto dura un secondo? Così poco che per scrivere queste poche parole ne ho impiegati una decina. Però non tutti i secondi sono uguali. Alcuni hanno il potere di dilatarsi sino a segnare l’avvenire. Il secondo in cui abbiamo chiuso gli occhi per il nostro primo bacio, quello in cui sono venuti al mondo i nostri figli, quello in cui abbiamo salutato per sempre una persona cara. Questi ce li ricordiamo tutti. Ma il secondo precedente cos’è successo? Quale tumulto agitava le nostre menti e i nostri cuori? Ecco, le storie della domenica racconteranno questi “secondi prima” dei secondi eterni, quelli in cui gli occhi stavamo per chiuderli, le mani per lasciarle o prenderle. Momenti veri o immaginari, vissuti da personaggi più o meno pubblici o ignoti o anche solo da me (ogni autore è narcisista).  Perché forse ce li siamo scordati, eppure non sono mai andati via. Quali sono i “Secondi Prima” dei secondi che hanno cambiato la vostra vita? Raccontateli a giulianopasini@gmail.com e, se vorrete, diventeranno storie.