In una società liquida come quella in cui stiamo vivendo, ha ancora senso restare insieme se insieme non ci si sta più. Ne parlavamo qualche giorno fa con alcuni colleghi, in chiacchiere da mensa. Gli esempi che si sono fatti sono famosi (e non citabili) e la ratio alla base dell’unione restansoprattutto quella sociale e professionale. Sì perché essere in coppia fa bene alla carriera.
Innanzitutto è una questione di remunerazione. Dagli Stati Uniti all’Europa gli uomini sposati guadagnano di più dei single. Dati del us. Census Bureau indicano addirittura un salario doppio. Diversi studi hanno dimostrato come esista un “effetto moglie” sul salario del marito. Da una parte le mogli sembrano avere un ruolo di stimolo ad una maggiore focalizzazione e produttività sul lavoro, dall’altra i datori di lavoro percepiscono l’uomo sposato come più stabile, responsabile e più produttivo rispetto al collega single. Il fenomeno è talmente evidente che alcuni studiosi hanno pensato di ricondurlo a una formula matematica.
Aldilà delle spiegazioni economiche che si vogliono dare al fenomeno, un gap salariale estiste ed è esattamente il contrario a quanto succede invece fra colleghe: in questo secondo caso, infatti, a guadagnare di più sono le single, perché si suppone che le sposate, magari con figli, possano essere meno focalizzate sul lavoro.
Il valore professionale del matrimonio per gli uomini, però, va ben oltre la remunerazione. È una vera e propria questione di carriera. Come presentarsi a una cena di lavoro senza una compagna ufficiale? Come poter invitare a loro volta a cena a casa propria senza avere una padrona di casa? Più si sale nella scala sociale e più il matrimonio diventa parte della costruzione del proprio stato sociale dalla politica all’industria, dall’imprenditoria al management.
In Italia, secondo i dati Istat, su 56.070 matrimoni del 2013, ben 19.176 vedevano almeno uno dei due coniugi laureato. Vale a dire un matrimonio su tre aveva un laureato all’altare (33,9%). Una percentuale più alta di quella dei laureati rispetto alla popolazione italiana: meno di uno su cinque (23,9). Che anche da noi il matrimonio stia diventando un affare di lusso della media e alta borghesia? Per saperlo bisogna guardare ai dati sulle separazioni: Nel corso del 2012 , ad esempio, il 39% dei mariti che si sono separati aveva il titolo di scuola media inferiore, il 41% di scuola media superiore e il 13,5% era laureato. Per le mogli il 33,9% aveva la licenza media inferiore, il 44,3% la scuola media superiore e il 16% la laurea. In media, quindi, c’è un laureato separato ogni dieci, contro uno che si sposa ogni tre.
Senza voler entrare nell’analisi sociologica sulle motivazioni di una maggiore sopravvivenza dei matrimoni tra persone laureate, resta il dubbio di cui si discuteva a pranzo con i colleghi: non sarà che ancora molte coppie sopravvivono “socialmente” per non perdere uno status e possibilità di carriera quando invece la separazione è già stata consumata nel privato? Assai difficile dirlo dai numeri. Magari basta guardarsi un po’ intorno per avere una risposta.