L’adozione non è un fenomeno di nicchia. I numeri parlano chiaro. Le adozioni nazionali (ovvero di bambini che si trovano in stato di abbandono sul territorio nazionale, di qualsiasi etnia o origine) riguardano un migliaio di minori all’anno, trend rimasto stabile negli ultimi anni. Sul canale internazionale non si hanno cifre. Almeno negli ultimi due anni. Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2013. Ma chi dovrebbe monitorare questa realtà?
Il compito di stilare e pubblicare le statistiche annuali sui numeri dell’adozione internazionale spetta alla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI), fondamentale organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri incaricato di vigilare sul rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione dell’Aja del 1993, che regola le adozioni internazionali, e di mantenere i rapporti di cooperazione con i vari Paesi per contrastare il fenomeno dell’abbandono.
La Commissione svolge anche un importante compito di controllo sull’operato degli enti autorizzati che, obbligatoriamente, dopo la legge del 31 ottobre 2000, devono affiancare e assistere i futuri genitori adottivi nello svolgimento all’estero delle procedure necessarie per realizzare l’adozione e nell’assistenza e nel sostegno alla nuova famiglia una volta rientrata in Italia. Gli enti autorizzati (poco più di 60) sono iscritti a un albo, divisi per regione geografica, che periodicamente dovrebbe essere aggiornato dalla Commissione.
Fra i compiti della Commissione, dicevamo, c’è la redazione del rapporto sulle adozioni internazionali, strumento fondamentale perché, oltre ai numeri, fornisce importati informazioni qualitative che permettono di fotografare la realtà delle adozioni in Italia, base per elaborare strategie future di sostegno alle famiglie e ai bambini.
Stando all’ultimo rapporto, nel 2013 sono stati adottati 2.825 bambini, provenienti da 56 Paesi. Il Paese di origine con il maggior numero di adozioni è la Federazione Russa (25,8%), seguito da Etiopia (10,4%), Polonia (7,2%), Brasile (6,6%), Colombia (6,3%), Repubblica Popolare Cinese (5,7%), Repubblica Democratica del Congo (5,6%). Nelle adozioni internazionali la provenienza dei bambini è una caratteristica in continuo mutamento, influenzata dalle situazioni politiche dei singoli Paesi e dallo scenario internazionale. L’età media dei bambini è di 5,5 anni: il 42,1% ha un’età compresa tra 1 e 4 anni, il 43,8% tra 5 e 9 anni, l’8,8% pari o superiore ai 10 anni, e solo il 5,4% ha meno di un anno di età.
Identikit dei genitori adottivi
Le coppie italiane che hanno portato a termine l’iter adottivo dal 2000 al 2013 sono state 33.820 (con una media di più di 2.500 coppie all’anno) per un totale di 41.700 bambini. L’equivalente degli abitanti di una cittadina italiana come Macerata, per intenderci. Leggendo più attentamente i dati, si scoprono informazioni interessanti anche su di loro: il tempo medio impiegato per compiere l’iter (dalla disponibilità presentata al Tribunale dei minori all’autorizzazione all’ingresso in Italia) è di 3,3 anni. Dall’analisi geografica, invece, si ha un quadro della distribuzione territoriale dal 2000 al 2013: in testa la Lombardia con 6.705 coppie, seguita dal Veneto (3.510 coppie), dal Lazio (3.146), poi Toscana (3.142), Emilia-Romagna (2.482) e Campania (2.235), prima tra le regioni meridionali.
L’età dei genitori adottivi cresce nel 2013 e arriva a una media di 42,7 anni per i papà e di 40, 9 anni per le madri (per adottare un minore la coppia deve essere sposata da almeno tre anni o avere convissuto da almeno tre anni ed essere comunque sposata). Nove coppie su dieci non hanno figli (86,1%), il 12% ne ha già uno, o più di uno (1,8%). Infine, nel 2013, l’80,4% delle coppie ha adottato un minore, il 16% due minori e il 3,6% tre o più.
Per quanto riguarda il livello di istruzione dei neogenitori, il 45,8% dei mariti e il 44,6% delle mogli ha un diploma di scuola media superiore. Seguono poi i laureati (con il 36,9% dei mariti e il 44,1% delle mogli) e i genitori con licenza media inferiore (16,9% dei mariti e 10,7% delle mogli). I dati sono interessanti e rilevano, quindi, un livello di istruzione più alto rispetto alla media della popolazione italiana in generale, e un titolo di studio maggiore delle mogli rispetto ai mariti. Alcune indicazioni si hanno anche sulla professione, classificata in base alle tipologie Istat: il 29,8% dei mariti e il 36,2% delle mogli svolge un lavoro intellettuale a elevata specializzazione. Per i mariti, seguono poi le professioni tecniche (21,3%), gli impiegati (15,8%), gli artigiani (15,1%) e le professioni nelle attività commerciali e nei servizi (10,6%). Per le mogli, il 23,2% è impiegata, il 17% svolge una professione tecnica, il 6,7% lavora nel commercio o nei servizi. Le casalinghe sono l’8,5%.
Ma quali sono i motivi che spingono all’adozione? Stando ai dati raccolti, l’infertilità costituisce la motivazione principale per il 95,3% delle coppie. Per le famiglie che hanno già un figlio, questo dato scende al 14,4%.
Perché questo stallo?
La mancanza di dati degli ultimi anni è lo specchio della situazione di stallo in cui si trova la Commissione, che si è riunita l’ultima volta nel giugno 2014, data di insediamento della nuova vicepresidente (nonché presidente su delega di Matteo Renzi) Silvia Della Monica. L’ex vicepresidente, Daniela Bacchetta, aveva lasciato la Commissione dopo due mandati ben sette mesi prima, nel novembre 2013. La latitanza della Commissione, in questo biennio, è stata anche oggetto di diverse interrogazioni parlamentari. Eppure al momento nulla si muove.