Minuta, i capelli raccolti, senza occhiali: muove le mani sicure e precise, come ha fatto per una vita intera. Emma Vidal ha compiuto 100 anni: è nata e cresciuta a Burano, Venezia; e domenica 14 febbraio l’intera isola – meno di 3mila abitanti – le si è stretta intorno per farle festa, mentre gli sponsor mettevano a disposizione prosecco e buffet. Qui nel 1872 la contessa Andriana Marcello fondò la scuola del merletto di Burano, un’arte difficile quanto, ai tempi, redditizia. Un’arte di donne, fondamentale per sostenere il reddito delle famiglie quando la pesca degli uomini non bastava.
Di più, un’arte delle donne fatta insieme, in squadra, come si usa dire oggi: nemmeno i capolavori, e ce ne sono, portano una firma, perché tante sono le mani che li hanno realizzati. È anche questo il messaggio che hanno voluto affidare alla festa di compleanno le tre donne che hanno incontrato Emma, e hanno deciso che meritava una giornata speciale: sono Mariacristina Gribaudi, amministratice unica di Keyline e dallo scorso dicembre presidente della Fondazione Musei civici di Venezia; Chiara Squarcina, responsabile del museo del Merletto e Gabriella Belli, direttore della stessa Fondazione. Promettono di rilanciare la scuola del merletto, a costo di trovare studentesse in ogni angolo del mondo.
Emma oggi non è molto diversa dall’immagine di quando era poco più che ventenne, che si intravvede fra le foto del Museo del Merletto. È datata 1940 e le ragazze della scuola – molte di loro erano orfane, che qui trovavano più di un mestiere – riempivano due intere stanze, sotto lo sguardo severo delle suore. Per molte, l’unico modo di pagarsi una dote.
“La maestra si chiamava Sinigallia, la superiora era grande e grossa. Erano tempi di miseria. Non c’era luce, né acqua, né gas. Mio padre quasi non l’ho conosciuto. Mia madre ha lasciato me e i miei due fratelli alla suocera. Io conoscevo questo posto”.
Non si è mai sposata Emma, fedele a due amori: il merletto – dalle sue mani sono usciti la culla di Maria Pia di Savoia e l’emblema vescovile di Paolo VI – e la sua fede. Adesso il suo pensiero è per il futuro della sua arte. C’è stato un tempo nel quale il merletto era un accessorio irrinunciabile, e lo raccontano i quadri di tutta un’epoca. Fin dal tardo XVI secolo è documentata l’attività merlettiera nei monasteri e nei laboratori di orfanotrofi e pii istituti di carità; e quando i pizzi avevano conquistato l’arredo (tovaglie, coperte) oltre alla moda, e la produzione familiare e conventuale non bastava più, se ne organizzarono altre su larga scala, coinvolgenti intere popolazioni femminili, concentrate in località isolate – come l’isola, appunto – per rendere più vantaggioso il lavoro. Alla sua prima crisi era seguita una rinascita del merletto, legata alla figura della regina Margherita, che ne aveva capito l’importanza per l’intero tessuto di Venezia e la vita di chi lo lavorava. Era stata lei a tornare a indossarlo, a perorare la causa di una scuola, aperta nel 1872 grazie a un’anziana maestra superstite, e poi alle altre che si erano aggiunte.
L’attività era proseguita per anni grazie alle generose commissioni dei reali e ai finanziamenti della famiglia Marcello, poi il cambiare delle mode, e ancor più la grande guerra, avevano finito per ridurre il merletto a un souvenir.
L’isola ha lanciato il suo grido di allarme, e oggi si pensa alla tutela Unesco per un bene intangibile che rischia di scomparire: le merlettaie rimaste sono 14, molte hanno più di 80 anni. Non esistono libri in grado di insegnare, non esistono macchinari: serve una maestra. Nel 1981 apre il museo della scuola del Merletto: qui ci sono i pezzi più rari che partono dal Cinquecento, qui si organizzano corsi teorici e pratici – anche un concorso per i lavori manuali – e si possono osservare le maestre al lavoro, quelle rimaste come Emma, seduta sulla sua sedia, i piedi appoggiati allo sgabellino.
Un modo per preservare la capacità di creare capolavori, gli schemi, l’arte: pronti per quando la moda si accorgerà di nuovo del merletto, e lo salverà.