Che sugo compri? Io quello per la parità di genere

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Ieri mattina, conferenza stampa del gruppo Barilla che presenta l’edizione 2018 del Rapporto sulla sostenibilità. Si parla di tecnologie green per ridurre le emissioni di CO2 durante il processo produttivo. Di contratti di filiera per garantire una migliore qualità della vita degli agricoltori. Di riduzione della quantità di zucchero nei prodotti da forno. Poi, allimprovviso, un’illuminazione. Lo speaker lo dice en passant, ma io non posso fare a meno di rimuginarci tutto il giorno. “lo stabilimento di Rubbiano raddoppia, sarà 4.0, sostenibile e “gender equal”. Avrà cioè, per contratto, un numero uguale di uomini e di donne al lavoro tra le sue linee produttive.

Da anni viviamo nell’era dei consumi consapevoli. Equi e solidali, ma anche green, bio, senza conservanti aggiunti, senza sfruttamento del lavoro minorile, per la pesca sostenibile, da carta riciclata… C’è una certificazione per tutti i gusti. Perché allora non comprare solo prodotti le cui aziende applicano un rapporto di 1 a 1 tra impiegati uomini e impiegati donne?

Le scelte dei consumatori sono uno strumento potente. Hanno imposto alle multinazionali del fast food di diminuire la quantità di cibo spazzatura venduto. Hanno spinto i produttori di abiti per bambini a ricorrere ai coloranti naturali. Hanno decretato l’uscita dell’olio di palma dai biscotti. Le premesse ci sono tutte, perché riescano anche a convincere le aziende che la parità di genere fa vendere i prodotti.

Gli studiosi concordano che sono le donne il motore dello shopping mondiale: in America, si dice che circa l’85% delle decisioni di acquisto siano prese dal pubblico femminile. Perché allora non ci mettiamo tutte d’accordo e cominciamo a comprare solo i prodotti di chi sulla confezione scrive “questo sugo – o questo shampoo – è gender equal”?