Oggi ci sono i funerali di Sara. E già altre quattro donne uccise dai loro ex compagni hanno preso il suo posto sulle pagine di cronaca nera. E una dopo l’altra cadono nel dimenticatoio per diventare solo un numero nelle statistiche che l’Istat ci racconterà l’anno prossimo tirando le somme di questo 2016. Lo fa ogni anno e i giornali titolano “Femminicidi in calo…” o altrimenti “Femminicidi in aumento…” e non cambia nulla. Nel 2012 erano 157, nel 2013 179, nel 2014 152, nel 2015 circa 130. Sei su dieci uccise dal compagno o ex-compagno. Nel 77% dei casi morte all’interno della cerchia familiare. Si deve aver paura più di restare a casa che di prendere la metropolitana a tarda notte, si direbbe.
Le domande quando se ne parla sono sempre le stesse: morivano già prima e non lo sapevamo? Il fenomeno è aumentato? Ma chi sono questi uomini che uccidono? E che genitori li hanno cresciuti? Quanto conta la cultura in cui viviamo?
Non ho risposte. Non mi va di fare filosofia, analisi sociologiche o nuove petizioni per inasprire le pene. Tutte cose importanti e sacrosante, ma che non stanno a me. Sono una donna, una mamma, un’amica, una collega, una vicina di casa, una passante. E la cosa che posso chiedermi è cosa posso fare io perché non ci siano più Sara bruciate ai margini di una strada, Alessadra pugnalate nella notte, Federica strangolate? Perché ognuno di noi ha la propria responsabilità. Innanzitutto come genitore. Perché l’educazione non è un affare solo di scuola.
Le mamme (e i papà, naturalmente. Mi piacerebbe leggere le riflessioni di un papà su questo, a proposito) crescono gli uomini di domani. Come marcare la differenza da subito? Non so quale sia la risposta esatta. Come mamma ho ripetuto allo sfinimento a mio figlio che le bambine non si toccano e ho sempre fatto differenza se una zuffa avveniva con un compagno o con una compagna. In questo secondo caso la punizione è sempre stata più dura e gli ho spiegato che la sua forza fisica non è paragonabile alla loro. E’ capitato che con un calcio una compagna gli mandasse fuori asse la mandibola o che un’altra gli tirasse un sasso sull’arcata sopraccigliare, ma la linea non è mai cambiata. Non si risponde con la forza. E mio figlio sa che se farà del male a una donna, io sarò dalla parte di quella donna e non dalla sua. Basta? Non credo. Credo che ci sia un’educazione più sottile e più profonda che passiamo ai nostri figli. E sta nel come permettiamo agli altri di comportarsi con noi. L’esempio è più potente di qualunque parola. Se abbassiamo la testa di fronte a un’offesa, se giustifichiamo con lo stress uno strattone, se ingoiamo le lacrime di fronte a un’umiliazione, i nostri figli impareranno quel modello e a nulla saranno bastate tutte le nostre parole. Se vogliamo che rispettino le donne, mostriamogli delle donne rispettate come esempi. Rispettate innanzitutto da loro stesse.
Poi c’è tutto il capitolo dell’educazione sentimentale: le donne hanno “il dono” della cura. Ai figli, anche maschi, andrebbe insegnato che l’amore è cura innanzitutto, non possesso. Che amare vuol dire volere il bene dell’altro, non volerlo sottomettere. Che l’altro non vive per rispondere a nostri bisogni e che quando decide di andare è necessario accettare questa libertà. E qui si apre anche la questione della gestione della mancanza e della frustrazione. Troppo spesso impegnati ad evitare che affrontino “i no”, come genitori rischiamo di non prepararli ad affrontare i no che inevitabilmente nella vita arriveranno.
Non sono solo mamma e donna, però, come dicevo. Ho anche un ruolo sociale come ognuno di noi. E come amica, vicina di casa e passante sento di avere la responsabilità di non girarmi dall’altra parte. A quanti è capitato di sentirsi raccontare di episodi di aggressività e di minimizzare? Di sentire liti continue dei vicini di casa e di alzare il volume della tv? Di passeggiare una sera e di cambiare strada se c’è un ragazzo che strattona una ragazza? In quel momento la responsabilità dei cento e passa omicidi ai danni delle donne, dei circa 7mila atti persecutori, degli oltre 3mila stupri e delle oltre 6100 percosse all’anno perpetrati in Italia è anche nostra. Potevamo fare qualcosa e non lo abbiamo fatto. Come quelle auto che non si sono fermate sul vialone romano mentre Sara si sbracciava per salvarsi dal suo assassino. Quelli che sono seduti in quelle auto non sono altri. Siamo noi. Iniziamo a fare la nostra parte. Poi potremo legare drappi rossi alle nostre finestre.