L’aborto è legge da 38 anni. Perché siamo ancora qui a dover difendere il diritto alla scelta?

Gli obiettori insorgeranno. Diranno che è loro diritto non compiere atti che la loro coscienza impedisce loro di affrontare. Diranno che la vita è vita e va difesa in ogni momento. Prima, durante e dopo. Anche le femministe insorgeranno. Diranno che viviamo in un Paese libero. Diranno che è l’ora di finirla, con certi oscurantismi. Ognuno viva come vuole, questo pronunciamento del Consiglio d’Europa, che su ricorso della Cgil ha bacchettato l’Italia perché abortire nelle strutture pubbliche è ancora troppo difficile. Ma là dove c’è una legge dello Stato in vigore da 38 anni, però, non è più questione di opinione. Passano gli anni, e siamo sempre qui.

Quello di abortire, nel rispetto di un determinato pacchetto di regole, è un diritto stabilito dallo Stato, sottoposto a referendum e quindi doppiamente approvato dalla maggioranza degli italiani. E la maggioranza è legge anche per la minoranza. Quindi: il diritto all’aborto è un diritto che va garantito. Al pari delle cure mediche o dell’istruzione per tutti. E se gli obiettori di coscienza – tali perché la legge gliene riconosce la facoltà – in un ospedale sono troppi, bisogna che le Regioni se ne facciano carico e ne riequilibrino il numero, in modo che ogni struttura sanitaria pubblica abbia i turni coperti. Proprio come si fa arrivare un nuovo cardiologo quando in un reparto ce ne sono pochi. Proprio come si fanno trasferire gli insegnanti pubblici se in una Regione ce ne sono pochi. Punto e basta.

Chi non si avvale di un servizio pubblico per scelte personali, come ad esempio l’insegnamento della religione cattolica a scuola, non si oppone a che il servizio venga fornito ad altri. Si tratta delle basi della democrazia.