Balbuzie, oltre un milione di italiani ne soffrono

In Italia sono un milione di persone. Nel mondo l’1% della popolazione. Le persone con balbuzie sono meno rare di quanto si pensi e oggi, 22 ottobre, si celebra proprio la Giornata internazionale della consapevolezza sulla balbuzie, un problema del linguaggio definito come disturbo del ritmo della parola di natura neuro-funzionale. Io sono tra questi, “leader nel settore” dal 1984 quando, agli inizi della scuola elementare, una mia compagna di classe mi chiese a bruciapelo: “Ma perché parli così?” Sbam. Entrata a gamba tesa. Senza filtri. Come solo i bambini sanno fare. Me lo ricordo ancora, come fosse ieri. Fu esattamente quello il momento in cui capii di essere in qualche modo “diverso”.

Prendere consapevolezza schivando le difficoltà

La preoccupazione continua e il giudizio degli altri mi hanno accompagnato per metà della mia vita. Fino al dottorato non l’ho vissuta benissimo. Poi, grazie alla maturità e allo switch da una vita sedentaria ad una sportiva, ho preso via via consapevolezza di me stesso ma anche di alcuni lati positivi di quel disturbo che da 39 anni “mi ama immensamente”.

Il primo fra tutti, ironia a parte (uno spazio di sopravvivenza fondamentale nel mio caso), è stato lo sviluppo della creatività e del coraggio, al pari di una rapidità di pensiero e azione. Ce ne è voluta di creatività per ordinare una Sprite al posto della Coca Cola perché la C, come la G, è difficilissima da pronunciare al primo colpo e rispondere velocemente al cameriere era quasi impossibile. Ce ne è voluto di coraggio (e di incoscienza) per provare a partecipare a “Chi vuol essere miliardario”, programma cult degli anni 2000, pensando che in fondo sarebbe stato semplice lasciare un messaggio in segreteria coi propri dati per essere richiamati; visto che la prima selezione (quella dove non si doveva parlare) la superavo sempre alla velocità della luce schiacciando rapidamente la sequenza corretta dei tasti sul telefono. E invece no. Nome? “G-G-G-G-G”. Nome? “G-G-G-i-a-c-c-c”. Non ho sentito, può ripetere? E io dentro di me: “Non ho parlato, ci credo che non hai sentito!”

Anche chiedere delle informazioni per necessità è sempre stato un problema da affrontare e risolvere, anche perché non c’erano né internet né gli smartphone, quindi il contatto con le persone era obbligatorio. Così, quella che già di per sé era una sfida, si trasformava in un’impresa quando la sorte (sempre puntuale) mi metteva di fronte l’unico balbuziente nel raggio di 100 km. E “parlare” con uno che balbetta peggio di te e che poi ti “prende a parole” perché pensa che lo stai prendendo in giro, è davvero una prova mentale non indifferente, spiazzante e a tratti molto triste. È come guardarsi allo specchio e prendere consapevolezza di come si parla e delle smorfie che si fanno per forzare “il blocco” e far uscire le parole. Anche se poi è curioso, e un po’ divertente, come noi balbuzienti quando ci arrabbiamo, tiriamo fuori la nostra vera voce e affiliamo una serie di frasi condite da epiteti e locuzioni più o meno colorite da far invidia ai migliori attori di Hollywood.

La diversità, un baluardo

Negli anni, della mia diversità ho provato a farne un baluardo, perché sapevo di essere stato un bambino capace di risolvere il cubo di Rubik in pochi secondi e parlare bene fino ai 5 anni di età, con un eloquio di altissimo profilo. Io non me lo ricordo ma ne sono testimoni i miei genitori, e le audio e video cassette delle recite scolastiche dove nei panni di un improbabile Mosè (guarda caso balbuziente pure lui) sfoggiavo un tono di voce squillante e una consecutio temporum da perfetta pièce teatrale.

Il cammino sulla strada della consapevolezza, però, non è sempre semplice e spesso chi soffre di balbuzie rischia di rimanere schiacciato dagli stereotipi altrui. Riuscire ad accettarsi e a valorizzare i propri talenti è una sfida quotidiana, fatta di conquiste ma anche di scivoloni.

Giornata internazionale della consapevolezza sulla balbuzie

La giornata internazionale della consapevolezza sulla balbuzie nasce nel 1998 per volontà dell’International Stuttering Association (ISA), dall’European League of Stuttering Association (ELSA) e dall’International Fluency Association (IFA), con lo scopo di promuovere la conoscenza del problema e abbattere i pregiudizi sociali. Ancora oggi i balbuzienti vengono etichettati e poiché gli stereotipi contribuiscono ad aumentare il senso di frustrazione e a limitare le relazioni sociali e lavorative di milioni di persone in tutto il mondo, ogni 22 ottobre, da quasi trent’anni, è una boccata d’aria per la qualità di vita di coloro che ne soffrono e che possono sentirsi rappresentati e inclusi da una maggiore sensibilizzazione e riflessione da parte delle persone che non sanno cosa prova un balbuziente nel momento dell’inceppo e la scomodità e il disagio che percepisce negli altri (e dentro di sé) mentre tenta di parlare.

In un suo intervento sul tema del 2023, la dottoressa Chiara Comastri – psicologa ed ex balbuziente, tra le maggiori esponenti italiane con esperienza ventennale nel trattamento della balbuzie – spiegava quello che è il quadro generale ad oggi: «La letteratura scientifica considera la balbuzie un disturbo complesso e multifattoriale sul quale agiscono fattori fisiologici, linguistici, psico-emotivi ed ambientali. In alcuni casi scompare durante l’infanzia, in altri diventa persistente e si prolunga anche nell’età adulta. La persona che soffre di balbuzie persistente sa esattamente quello che vuole pronunciare ma sa altrettanto chiaramente che ci sarà un suono o una parola che non riuscirà a dire, pertanto la disfluenza che gli altri avvertono non è altro che la migliore soluzione che la persona ha trovato in quel momento per risolvere il problema e superare la preoccupazione percepita nel pensiero di pronunciare un certo suono.»

Un problema diffuso di cui ancora non si ha il quadro completo

La balbuzie è piuttosto diffusa e le pubblicazioni presenti in letteratura non sono ancora sufficienti ad avere un quadro pienamente completo del problema. I passi in avanti, però, sono stati tanti. I dati scientifici attualmente disponibili vanno letti sulla base della differenza tra “prevalenza” e “incidenza” della balbuzie. La prima indica quante persone presentano questo disturbo della parola in un determinato momento, mentre la seconda fornisce una stima di quanti individui nell’arco della loro vita hanno manifestato episodi di balbettii o inceppamenti ripetuti. Nel caso della prevalenza, dove gli studi vengono effettuati per fasce di età attraverso questionari o interviste, siamo all’1% della popolazione mondiale (come citato ad inizio articolo). Ma se prendiamo un campione di popolazione sotto i 6 anni di età, le percentuali salgono al 5% (Yiairi & Ambrose, Università dell’Illinois, 2013).

Per quanto riguarda invece l’incidenza, i dati testimoniano un aumento dal 4,5% del 1964 (The Syndrome of Stuttering di Andrews & Harris) al 10% dei primi anni 2000 (Dworzynsky et al. 2007; Reilly et al., 2009).

L’ampia differenza tra incidenza e prevalenza nella popolazione globale è correlata al fenomeno della remissione naturale della balbuzie. Secondo le stime dello studio di Yiairi e Ambrose sopra citato, con una prevalenza dell’1% l’indice di persistenza è dell’11,7% e la remissione dell’88% (che include sia quella naturale che quella in seguito a trattamenti riabilitativi). Un altro dato epidemiologico che vale la pena ricordare è che non ci sono differenze significative tra maschi e femmine nell’età di esordio della balbuzie, ma la balbuzie colpisce di più i maschi in tenera età rispetto alle bambine che più di frequente raggiungono la remissione spontanea. I numeri in questo senso riportano una variazione del rapporto tra maschi e femmine che balbettano in base all’età: 4 a 1 nella popolazione adulta contro 2 a 1 dell’età prescolare. Nessuna di queste ricerche, però, ha ancora affrontato il fatto inconfutabile che quando il balbuziente si trova a parlare chiuso nella sua stanza, quindi non sottoposto a giudizio esterno, non balbetta mai.

Uno studio del 2024 apre a nuovi scenari

L’ultimo studio pubblicato sulla balbuzie (20 maggio 2024) è di un gruppo di ricercatori dell’Università di Turku (Finlandia), che sottolinea come circa il 5-10% dei bambini piccoli balbetta e circa l’1% continua a balbettare anche in età adulta. Una balbuzie grave può avere un profondo impatto negativo sulla vita dell’individuo colpito, si legge nel sommario delal ricerca. «Un tempo la balbuzie era considerata un disturbo psicologico. Tuttavia, con ulteriori ricerche, ora si è capito che è un disturbo del cervello legato alla regolazione della produzione del linguaggio» afferma il professore di neurologia Juho Joutsa dell’Università di Turku.

Tuttavia, i meccanismi neurobiologici della balbuzie non sono ancora del tutto chiari e la sua origine nel cervello rimane incerta. I risultati degli studi di imaging cerebrale sono in parte contraddittori ed è difficile determinare quali cambiamenti siano la causa principale della balbuzie e quali siano semplicemente fenomeni associati. Ricercatori provenienti da Finlandia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Canada hanno sviluppato un nuovo progetto di ricerca che potrebbe fornire una soluzione a questo problema. Lo studio ha incluso individui che avevano subito un ictus, alcuni dei quali hanno sviluppato una balbuzie subito dopo. I ricercatori hanno scoperto che, sebbene gli ictus fossero localizzati in diverse parti del cervello, erano tutti localizzati nella stessa rete cerebrale, a differenza degli ictus che non causavano balbuzie.

Lo studio, inoltre, ha dimostrato che, indipendentemente dalla causa scatenante, la balbuzie ha una sua area cerebrale “preferita”, localizzata tra il putamen (che regola la funzione motoria), l’amigdala (che regola le emozioni) e il claustro (che fa da nodo per diverse reti cerebrali trasmettendo informazioni tra loro). Questa scoperta apre nuove possibilità per il trattamento medico. I ricercatori sperano che in futuro la balbuzie possa essere trattata efficacemente, ad esempio, con la stimolazione delle parti cerebrale interessate e ora identificate.

Il voice shaming e l’arma della consapevolezza

La discriminazione nei confronti della diversità non risparmia nemmeno i balbuzienti. Il fenomeno si chiama voice shaming e nell’età scolare può degenerare in atti di bullismo tra bambini. Secondo la letteratura internazionale, anche i balbuzienti adulti sono tre volte più esposti al rischio di venire discriminati a causa del disturbo legato alla propria voce, che non riguarda soltanto l’evento relativo al balbettio ma include tutta una serie di ripercussioni che la balbuzie produce sul linguaggio: dalle alterazioni nella qualità della voce, più rauca o più acuta, fino alla cosiddetta “erre moscia” e all’afasia; passando anche per dei veri e propri tic nervosi incontrollati che coinvolgono il corpo, chiamato in causa per contrastare il blocco della parola, o il tono della voce, storpiato fino all’estremo per allungare quella sillaba che non ne vuole sapere di uscir fuori dalla bocca.

Nel 2023 è stato inaugurato l’Osservatorio Voice Shaming, un progetto nato per volontà del centro medico dell’associazione Vivavoce di Milano con lo scopo di monitorare gli episodi di discriminazione nei confronti di chi ha anomalie nell’eloquio, sensibilizzare sul fenomeno e allo stesso tempo promuovere una cultura del rispetto e dell’inclusione. Dai primi dati emersi, il 99% delle 205 persone balbuzienti coinvolte nello studio (età media 24 anni) ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo a causa della propria voce. Per molti di questi ragazzi, gli episodi sarebbero avvenuti durante gli anni della scuola primaria, sebbene l’incidenza maggiore sarebbe stata registrata nelle scuole secondarie di primo grado e in quelle di secondo grado, rispettivamente con il 30% e il 36% dei casi.

Il voice shaming avviene anche in altri contesti: con amici e familiari (6% dei casi), in ambiti lavorativi (5%) o in quelli sportivi (3%). Che impatto hanno avuto questi episodi di bullismo? Non bello. La maggior parte dei ragazzi ha provato un forte senso di inadeguatezza (53%), altri rabbia e frustrazione (45%). Ma è l’umiliazione (62%) il sentimento più ricorrente, un dato che deve far riflettere. Altri dati dimostrano che poco meno della metà degli intervistati avrebbe subìto scherno e derisione più di una volta. In altri casi (8,2%) sono stati esclusi dal gruppo di amici e in qualche occasione hanno anche subito forme di violenza, fisica o verbale. Inoltre, il 45% dei balbuzienti ha sperimentato forme di voice shaming per almeno due mesi.

Secondo Antonio Schinder, direttore scientifico dell’Osservatorio, 6 persone su 10 hanno ignorato questi episodi ma il 18% di essi ha affermato di aver evitato di trovarsi di nuovo nello stesso contesto in cui si è consumata la violenza. I rischi maggiori di questi comportamenti, infatti, sono l’autoesclusione e il ritiro sociale. È fondamentale quindi offrire un supporto a chi subisce voice shaming ma, allo stesso tempo, aumentare la consapevolezza sul peso imponente che una parola, uno sguardo o un silenzio possono avere sulla vita delle persone che convivono con una difficoltà nella comunicazione orale. Consapevolezza e accoglienza, due atteggiamenti che possono avere un impatto determinante nella vita di un balbuziente e contribuire a promuovere una cultura più inclusiva.

I balbuzienti più “famosi” della storia

Da Mosè ad Alessandro Manzoni, dal re di Inghilterra Giorgio VI (papà della Regina Elisabetta II, madre dell’attuale re Carlo III) a Winston Churchill, Marilyn Monroe, Bruce Willis, Samuel L. Jackson, Woody Allen, Rowan Atkinson, Jimi Hendrix, Nicole Kidman, Kylie Minogue, Ed Sheeran, Tony Renis, Paolo Bonolis, Indro Montanelli, Vinicio Marchioni, Joe Biden. Sono solo alcuni dei personaggi accomunati da una storia più o meno lunga di balbuzie. Eppure, questo non ha impedito loro di occupare un ruolo ben definito nella società, spesso anche di alta responsabilità.

In questa giornata dedicata a chi, come me, tra alti e bassi convive con la balbuzie, ha un lavoro che lo appassiona e la fortuna di avere persone intorno che gli vogliono bene, l’augurio per tutti è che “gli altri” abbiano l’empatia necessaria per riconoscere le infinite potenzialità dentro ogni persona balbuziente e si ricordino della canzone Secondo me di Brunori Sas, cantautore calabrese, il cui ritornello recita: «Secondo me, secondo me. Descrivo il mondo solo secondo me. Chissà com’è invece il mondo visto da te».

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