Coming out. Venire fuori, letteralmente, uscire allo scoperto. E’ il termine che descrive il momento in cui una persona LGBTI decide di uscire allo scoperto, appunto, e dichiarare il proprio orientamento sessuale ad amici, famiglia, colleghi di lavoro, a chi conosce insomma. Spesso confuso con l’ “Outing” (altro termine che invece descrive il momento in cui qualcuno rivela l’orientamento sessuale non suo, ma di un’altra persona), il Coming Out è un momento di passaggio fondamentale nella vita di ogni omosessuale.
Il primo Coming Out è come il primo bacio, la prima sbronza in compagnia, la prima volta che hai fatto l’amore: non si scorda mai e te lo ricorderai per tutta la vita. Lo racconti agli amici, e spesso anche al primo appuntamento con qualcuno che stai conoscendo: “i tuoi lo sanno? Come glielo hai detto?”. Ci si scambia quell’esperienza perchè nello storytelling di ognuno di noi è quel momento che, in base a come e quando è avvenuto e alle conseguenze cha ha avuto, ha determinato la persona che sei.
Difficile rendere ad un eterosessuale quell’emozione mista di eccitazione e paura per una cosa che hai voglia di fare, ma che hai paura di fare. Che ti si annoda tra il cuore e la pancia prima di dire a qualcuno “sono gay”. E se poi cambia tutto? E se da adesso in poi mi evita? Mi caccia di casa? Mi licenzia? Se da adesso non mi vuole più bene come prima? Quest’ultima forse la domanda più sincera e più banale che, trascinandosi dietro tutte le altre, ti si attorciglia in testa prima di fare quel passo. Prima di dire a voce alta la cosa più normale e naturale che riguarda la tua vita, e che, ingiustamente, facendo un torto a te stesso, hai sempre nascosto. E’ come salire sulla montagne russe con la cintura di sicurezza lenta, sentire il brivido della curva della morte che si avvicina. Avresti voglia di scendere. Continui ad andare in alto mentre pensi “ma chi me lo ha fatto fare a salire, fermate tutto!”, ma è troppo tardi. Quindi vai avanti, parola dopo parola, inizi a pronunciare tutta la frase che rivela chi sei, ripetendoti “speriamo regga la cintura, e che nella discesa, io non voli giù”.
L’11 ottobre, in tutto il mondo, la comunità LGBTI celebra il Coming Out day. Perché proprio questa data? Perché l’11 ottobre 1987 avvenne la seconda marcia nazionale su Washington per i diritti delle lesbiche e dei gay. Migliaia di persone, uscite allo scoperto, in marcia per i propri diritti, senza più nascondersi. Un evento da ripetere, simbolicamente, ogni anno, per dare coraggio a chi, altrimenti, continuerebbe a nascondersi. Invece no, uscire fuori e diventare visibili ogni giorno nella propria vita quotidiana con le persone che ti stanno accanto, è l’arma di rivendicazione più efficace, silenziosa e civile, che la comunità LGBTI può usare per ottenere i propri diritti. L’unica che può garantire alla vita di ognuno di noi di essere vissuta con la libertà e la dignità che ogni vita merita.
Il Coming Out non è da prendere sottogamba. Ci sono ragazzi che lo hanno pagato a caro prezzo e che ancora oggi subiscono grandissime conseguenze da quella scelta. Sbattuti fuori di casa, licenziati, vessati da bullismo a scuola e molto altro. Una scelta dunque da fare e consigliare, valutando ogni volta la situazione della persona con cui si parla. Ma una scelta irrinunciabile, che prima o poi, nella vita di una persona omosessuale, deve avvenire.
Oggi 11 ottobre è il Coming Out Day. A chi scrive è andata molto bene in questo senso. Ricordo di averlo detto a mia madre un pomeriggio in cui eravamo soli in casa. Avevo vent’anni. Ricordo l’abbraccio, le lacrime, i “perchè non me lo hai detto prima?”. “perchè avevo paura” fu la risposta. Paura. Nessuno dovrebbe avere paura di essere ciò che è, soprattutto a ventanni. Ma è solo quando vinci la paura, che comincia l’orgoglio. Credetemi. Credeteci.