Semaforo rosso, un’auto non si ferma e prende in pieno lo scooter che sta svoltando. La ragazza sullo scooter vola a 15 metri. Dopo tre giorni in coma farmacologico si sveglia ed una gamba non c’è più.
È il 2 ottobre del 2009 e lei è Erika Novarria. Aperti gli occhi in ospedale il suo primo pensiero è: “potrò mai più tornare sul ring?”
Questo è un momento di cronaca, un evento che ha colpito e segnato Erika, ma è solo l’inizio di una storia: una bellissima storia. Erika, classe 1990 da sempre appassionata di Kick Boxing, nel gennaio del 2010 ha ripreso subito a combattere. Alcune complicazioni alla gamba hanno reso necessario un ulteriore intervento in estate cui ne sono seguiti altri, ma dopo qualche anno di fermo nel 2015 Erika è tornata con più grinta che mai e questa volta sul ring con la boxe.
Sabato 20 febbraio 2016 ha coronato un sogno esibendosi contro Malù Marenzi al teatro Principe di Milano: tre riprese da un minuto e mezzo ciascuna, come dice Erika: ” sono stati tre round dai significati infiniti”.
Nella sua pagina web si legge:
“Io penso che la mia testimonianza potrebbe essere d’aiuto a chi ha subito delle sconfitte, o a chi ancora dovrà affrontarle, a trovare una motivazione per ricominciare o continuare a lottare perché nella vita non bisogna arrendersi mai, in particolare, nel mio caso specifico per quanto riguarda i disabili, per far capire che nonostante tutto se lotti e credi in te stesso la vita ti sorriderà, ti aiuterà, che sia disabile o meno. La motivazione, l’impatto e l’aiuto che ti può dare lo sport è davvero forte se ci credi sia a livello fisico che emotivo, messaggio e comunicazione base che mi piacerebbe arrivasse”.
La motivazione di Erika è stupefacente, basta farci due chiacchiere per sbattere contro un grande sorriso e una voglia di raccontarsi incredibile. Il suo obiettivo numero uno in questo momento è fare di tutto perché la boxe diventi disciplina paralimpica. Non è un vezzo il suo, ma una necessità che spiega così: “se mi succedesse qualcosa in palestra, non saprei cosa fare, sono senza assicurazione”.
Ha preso un anno di aspettativa dal lavoro e sta prestando servizio civile al CONI, per poter immergersi a 360 gradi nel mondo dello sport e capire quali siano le strade migliori per combattere questa battaglia personale e per tutti coloro che con una protesi agli arti inferiori, vogliano praticare la boxe. Mi racconta infatti con un gran sorriso : “io ho una grande responsabilità: sono la prima donna al mondo amputata pugile! Ho iniziato e porto avanti questa battaglia per me e per tutte quelle che come me hanno una voglia di provare l’adrenalina sul ring”.
Nel frattempo la sua esuberanza è irrefrenabile tanto da fa parte della nazionale di sitting volley, che ha appena conquistato i Campionati Mondiali 2018 che si terranno a luglio in Olanda. Il sitting volley è la pallavolo a livello paralimpico: si svolge tra due squadre di 6 giocatori che stanno seduti su un campo da gioco 10 X 6, la rete nel maschile è alta m.1,15 e nel femminile m.1,05.
Perché questo sport si fregia del titolo di disciplina paralimpica e la boxe no?
Erika non sta ferma un attimo e la nostra speranza è che la sua forza d’animo e la sua tenacia siano il mezzo per rispondere a questa domanda e arrivare all’obiettivo che tanto le sta a cuore.