Direttiva Ue sulla trasparenza salariale: come stanno procedendo i Paesi membri?

Arriva la trasparenza retributiva grazie a una direttiva europea. Ma in cosa consiste? Dal prossimo 7 giugno le aziende europee con più di 100 dipendenti dovranno fornire informazioni sulle retribuzioni dei lavoratori. Nel rispetto delle richieste Ue in materia, saranno poi obbligate a intervenire se persistono al loro interno gap di genere superiori al 5%. E, in base alle indicazioni specifiche, dovranno risarcire eventuali vittime di discriminazione retributiva.

Le nuove regole comunitarie sanciscono anche il diritto per i candidati di conoscere lo stipendio iniziale o una forbice del compenso previsto per la specifica posizione. Chi è già dipendente, potrà, invece chiedere informazioni sul salario, i criteri con cui è determinato e la media aziendale per mansioni simili, disaggregate per genere.

Fondata sul principio di equal pay for equal work, la direttiva 90/2023 che entrerà in vigore il prossimo anno, rappresenta un ulteriore passo avanti verso una migliore parità tra i cittadini e le cittadine dell’Unione. Intervenendo nei luoghi di lavoro, questa iniziativa punta a colmare una differenza retributiva di genere ancora molto presente dentro i confini continentali. Infatti, oggi a pari impiego, posizione e preparazione, la retribuzione oraria delle lavoratrici resta il 12% più bassa di quella dei lavoratori (dati Eurostat). Una quota che  supera poi il 37% (stando agli ultimi dati disponibili che fanno riferimento al 2018), se si considerano, insieme alla retribuzione oraria, il numero di ore mensili pagate e il tasso di occupazione* di uomini e donne.

All’interno della Ue sono però molto diverse le situazione di partenza. E, allo stesso tempo, rimangono vari tra i 27 i tempi, le azioni e i processi di adeguamento avviati per rispettare la scadenza di giugno.

La trasparenza salariale aiuta la parità

Non è forse scontato pensarlo, ma le iniziative che puntano a favorire maggiore trasparenza nei compensi dei lavoratori incidono direttamente sulla parità di genere. A dimostrarlo, le analisi sui Paesi in cui pratiche simili sono già state introdotte. Un esempio interessante, per esempio, arriva dal Regno Unito. Appena oltre la Manica, e appena fuori i confini Ue, infatti, già i datori di lavoro con più di 250 dipendenti devono pubblicare i dati sul divario retributivo di genere. E non in modo anonimo o aggregato: in questo modo ad ogni azienda è possibile abbinare un dato preciso. Secondo le rilevazioni, le imprese che hanno continuato a farlo negli anni, stanno mostrando un divario retributivo tra lavoratori e lavoratrici in calo. E, in genere, tra l’altro, più basso del 6% rispetto alle altre. Nel dettaglio dal 2016 al 2023 la differenza salariale è passata dal 16,8% al 13,3% (dati Ocse).

Curioso notare inoltre come, stando alle analisi del motore di ricerca lavoro Indeed, a maggio il Paese ha registrato numeri record (65%) di offerte in cui veniva indicato il range di salario. Le due altre nazioni che si posizionano dietro al Regno Unito nello studio, Francia e Paesi Bassi, restano comunque a distanza – rispettivamente con il 48% e il 46%.

Misure a livello nazionale sulla trasparenza salariale (dati: Women, Business and the Law)

Come si muovono gli Stati europei

Torniamo a guardare alla situazione all’interno della Ue. A che punto sono i diversi stati rispetto al termine di giugno? Non è troppo difficile immaginarlo: ci troviamo di fronte a una varietà di scenari e livelli di avanzamento. Alcune nazioni infatti risultano al passo negli aggiornamenti delle leggi necessari. Altre non mostrano di aver pianificato ancora discussioni in merito. E qualcuna, pur avendo lavorato per rispettare le richieste europee, ha dovuto posticipare la scadenza (ben) oltre metà 2026.

Ricade prima casistica la Danimarca. Qui la legge già impone alle imprese di garantire la parità retributiva. Secondo uno studio del 2022, inoltre, grazie alla modifica legislativa che obbliga a fornire statistiche salariali disaggregate per genere, il divario tra gli stipendi di lavoratori e lavoratrici si è ridotto di due punti percentuali al 13%. I dati inoltre indicano che, rispetto alle imprese più piccole, le organizzazioni direttamente interessate dagli obblighi previsti tendono ad assumere e promuovere le donne più facilmente.

Per quanto presenti alcune criticità, un altro esempio interessante è quello dell’Austria. Nonostante, infatti, le rilevazioni dello studio legale internazionale Addleshaw Goddard non segnalino al momento l’avvio di iniziative di aggiornamento nel rispetto delle indicazioni europee, il Paese comunque prevede già norme che vanno in questa direzione. Dal 2011, infatti, i grandi datori di lavoro devono, tra le altre cose, segnalare eventuali divari retributivi e indicare nei loro annunci il salario minimo applicabile (previsto da contratto collettivo). L’entrata in vigore della direttiva, di fatto, amplierà ulteriormente questi obblighi, imponendo misure più rigorose che dovranno essere, inoltre, meglio comunicate al pubblico.

Abbastanza avanzata appare anche la situazione della Francia. Seppure, nemmeno qui le indicazioni comunitarie siano ancora del tutto implementate, Parigi dovrebbe approvare entro l’autunno una bozza di legge che si allinea ad esse. Tra le altre cose il testo prevede la revisione dell’Index de l’égalité professionnelle (l’indice francese della parità professionale**) per le società con più di 100 dipendenti e l’obbligo di trasparenza retributiva per ogni fase del rapporto di lavoro – dall’offerta e per tutta la durante del contratto con il dipendente. Le aziende inoltre dovranno rispettare il principio di equal pay for equal value, classificando gli impieghi richiesti (come, per esempio, le competenze necessarie o le responsabilità previste) in modo non specifico per genere.

Chi va a passo rallentato

Se le nazioni citate, in certo modo, hanno avviato un processo di avvicinamento alle richieste europee, non mancano però casi in cui i percorsi sembrano in stallo o sono rallentati da diverse cause, come, per esempio, in Germania. Secondo alcuni, le ragioni della parziale immobilità di Berlino sarebbero legate alla situazione politica eccezionale del Paese. Dopo le elezioni anticipate di inizio anno, infatti, l’amministrazione tedesca si è trovata a occuparsi di altre urgenze – dal tema dell’immigrazione ai problemi dell’industria tedesca. Il premier Merz, inoltre, qualche giorno fa si è trovato a che fare con gli “attacchi” da parte di alcuni parlamentari conservatori della coalizione al potere  che si sono ribellati al piano per le pensioni.

Se la situazione nazionale ha rallentato la presentazione di una proposta di aggiornamento legislativo in tema di trasparenza salariale, comunque secondo lo studio legale Addelshaw Goddard, «i datori di lavoro dovrebbero valutare in modo proattivo i propri sistemi retributivi per garantire l’allineamento con i requisiti futuri». A ben vedere poi, per quanto sembri muoversi lentamente, in Germania il processo non è del tutto fermo. In luglio infatti, Berlino ha creato una commissione speciale incaricata di dettagliare delle raccomandazioni da presentare entro questo autunno.

Una nazione che è invece apparentemente ferma in vista di giugno è la Spagna. Ma anche qui la legislazione nazionale già presenta obblighi in materia di trasparenza per le aziende. Esiste, per esempio, un registro salariale di genere per tutte le imprese e un audit salariale per quelle con oltre 50 dipendenti. Come indicano le rilevazioni Addelshaw Goddard, però, per quanto Madrid appaia quantomeno al passo rispetto alla scadenza di metà 2026, la strada non è del tutto livellata. La maggior parte delle aziende spagnole interessate, infatti, deve ancora rivedere i propri modelli retributivi e definire meglio le politiche di remunerazione. 

Tra i 27 membri della Ue, non mancano le nazioni che, al contrario degli esempi riportati, non mostrano di aver avviato al momento avviato alcuna iniziativa di aggiornamento per adempiere alle richieste della direttiva europea. Secondo le rilevazioni di settembre del network internazionale di studi legali specializzati in diritto del lavoro e previdenza sociale Ius Laboris, Tra queste Italia, Estonia, Lettonia e Bulgaria.

Non è troppo dissimile, sempre secondo il network internazionale, anche la situazione del Portogallo.  Qui però, per quanto non siano riportate, per ora, attività di trasposizione delle indicazioni europee nelle leggi nazionali, esistono norme che obbligano le aziende a fornire all’autorità per il lavoro dati sulle retribuzioni. Nel caso si riscontrino divari di genere, può essere richiesto ai datori di lavoro di presentare piani di valutazione specifici.

Chi ha implementato la direttiva Ue sulla trasparenza salariale? (da: Ius Laboris)

Chi ha già posticipato l’introduzione di norme specifiche

Due casi particolari sono rappresentati dalle situazioni in cui si trovano Belgio e Paesi Bassi. Seppure con motivazioni e tempistiche differenti, entrambe le nazioni infatti sposteranno oltre il termine previsto la deadline per l’entrata in vigore della direttiva europea. Questo nonostante, è importante segnalarlo, sia Bruxelles sia l’Aja stiano già lavorano per adeguarsi alle richieste della Ue.

Il “ritardo” belga, in particolare in tema di parità salariare tra i sessi e di processi di selezione trasparenti e non discriminatori, sarebbe legato al persistere di molti punti ancora scoperti che non sembrano risolvibili in tempi brevi. Secondo gli esperti difficilmente le modifiche saranno introdotte tra sei mesi.

Più a nord, i Paesi Bassi invece hanno già indicato una nuova data per l’entrata in vigore delle regole. Le aziende olandesi con oltre 150 dipendenti saranno infatti obbligate al rispetto delle norme dal primo gennaio 2027. Come in Germania, anche qui lo slittamento è legato alla situazione politica nazionale. A fine maggio, infatti, il governo del premier Schoof aveva pubblicato il testo di una proposta di implementazione della direttiva europea. La caduta del suo esecutrivo avvenuta pochi giorni dopo, ha però interrotto la discussione che è stata posticipata a dopo le elezioni di fine ottobre.

Nonostante non ci siano per ora nuove indicazioni (anche perché non è ancora stato formato un nuovo governo), gli aggiornamenti saranno probabilmente trattati entro fine anno. Inoltre, per quanto il termine per le imprese con oltre 150 dipendenti è stato posticipato, comunque le aziende si dovranno nel frattempo preparare. E, tra l’altro, lo slittamento temprale riguarda solo le realtà più grandi. Resta infatti invariato il calendario previsto per quelle che hanno tra i 100 e i 150 dipendenti. La loro prima rendicontazione obbligatoria rimane fissata per il 2030.


* Secondo Eurostat, nell’Unione Europea i tassi di occupazione femminile arrivano appena sopra il 70%. Tra gli uomini questa quota supera l’80%.

** Dal 2019 le aziende francesi con più di 50 dipendenti devono calcolare annualmente il loro punteggio (su un massimo di 100) in tema di pay gap. Se i dati non sono pubblicati correttamente o in maniera “leggibile”, possono essere multate per una cifra che arriva anche al 1% del totale salariale annuale.

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