
La laurea serve per trovare lavoro e aumenta le probabilità di occupazione più per le donne che per gli uomini e più nelle regioni del Sud che in quelle del Nord, ma la scelta del corso di studi non è una decisione semplice. Tre anni dopo il conseguimento del titolo, il tasso di occupazione femminile raggiunge l’85% tra le giovani laureate mentre si attesta al 62% tra le giovani diplomate; per la componente maschile il tasso di occupazione dei laureati raggiunge il 91% mentre quello dei diplomati si ferma a 81% (Tabella 1).
Tabella 1 – Tassi di occupazione delle persone in età 18-34 anni che hanno completato il percorso formativo da almeno tre anni per sesso, titolo di studio e regione.[1]

Elaborazione su dati Eurostat
Forti differenze regionali
La probabilità di trovare lavoro dei laureati varia molto da regione a regione: per la componente maschile si passa dal 98% della Toscana al 74% della Calabria; per la componente femminile la variabilità è anche maggiore, si passa dal 95% del Veneto al 56% della Calabria. Anche per i diplomati le differenze regionali sono notevoli: per la componente maschile il tasso di occupazione più elevato è quello registrato in Veneto (95%), mentre il valore minimo si riscontra in Calabria (60%); per le diplomate il valore più elevato è quello della provincia autonoma di Trento (87%), mentre il valore minimo è quello della regione Sicilia (40%).
La laurea conta di più al Sud e per le donne
Un valore così basso del tasso di occupazione potrebbe essere scoraggiante per le giovani laureate nelle regioni del Sud, e potrebbe portarle a ritenere che non valga la pena di continuare gli studi dopo il diploma. Invece è proprio per loro che la laurea fa la differenza, poiché il titolo di istruzione terziaria alza il loro tasso di occupazione rispetto alle diplomate molto più che nelle regioni del Nord (Figura 1), e molto più che per la componente maschile.
Figura 1 – Incremento % del tasso di occupazione delle laureate in età 18-34 anni che hanno completato il percorso formativo da almeno tre anni rispetto a quello delle diplomate.

Elaborazione su dati Eurostat
In Sicilia, ad esempio, il tasso di occupazione delle diplomate è solo del 40%, ma sale fino a 75% per le laureate, facendo registrare un incremento dell’87%; nella provincia autonoma di Trento, invece, la differenza tra il tasso di occupazione delle diplomate e delle laureate è davvero esigua: 3%. Anche per i laureati di genere maschile le differenze nei tassi di occupazione per titolo di studio sono più marcate a Sud, ma il divario è molto meno rilevante rispetto a quello della componente femminile. La differenza più notevole si riscontra in Sicilia (29%); anche in Campania e in Calabria supera il 20%, ma in tutte le altre regioni è molto contenuta; in media, l’incremento del genere maschile del tasso di occupazione dei laureati rispetto ai diplomati è del 12% contro il 38% del genere femminile.
Il 70% delle laureate del Sud lavora al Sud
I dati Almalaurea 2024 sulla condizione occupazionale delle laureate di secondo livello un anno dopo il conseguimento del titolo forniscono anche l’informazione relativa all’area geografica in cui lavorano i laureati di ciascuno degli 83 atenei che fanno parte del consorzio. Osservando ad esempio i dati riferiti alle maggiori università del Sud (Tabella 2) si nota che il 70-80% delle laureate trova lavoro nello stesso territorio; solo per le laureate dell’Università della Calabria questa percentuale scende a 61%. Per la componente maschile la probabilità di lavorare in un territorio diverso da quello di conseguimento del titolo è solitamente maggiore, tranne che per l’Università di Bari in cui è uguale per entrambi i generi (82%).
La retribuzione media mensile netta, un anno dopo il conseguimento del titolo, varia da 1.287 euro delle laureate dell’Università di Salerno a 1.385 euro delle laureate della Federico II di Napoli. Per la componente maschile la retribuzione è sempre maggiore e la differenza rispetto alla componente femminile va da un minimo di 185 euro al mese per i laureati della Federico II ad un massimo di 291 euro per i laureati dell’Università della Calabria.
Tabella 2 – Distribuzione (% colonna) delle laureate di secondo livello delle maggiori università del Sud per area geografica di lavoro e retribuzione media mensile netta un anno dopo il conseguimento del titolo.

Elaborazioni su dati Almalaurea
Forti differenze tra ambiti disciplinari
Il tasso di occupazione e la retribuzione delle laureate, nel contesto nazionale, differiscono anche a seconda del corso di studi che hanno completato (Figure 2 e 3). Ad esempio, una laurea in Ingegneria o Informatica porta ad un tasso di occupazione superiore al 90%, mentre per una laurea del gruppo Pedagogico o Letterario-umanistico non si supera il 60%; similmente, la retribuzione delle laureate in Ingegneria o Informatica è quasi il doppio rispetto a quella dei gruppi Psicologico e Giuridico (rispettivamente 1.715 e 1.695 euro contro 1.066 e 1.093):
Figura 2 – Tasso di occupazione delle laureate un anno dopo il conseguimento del titolo per gruppo disciplinare

Elaborazioni su dati Almalaurea
I dati qui sopra e quelli che seguono evidenziano la rilevanza della scelta del percorso formativo sulle prospettive occupazionali e sulla retribuzione, ma le preferenze hanno un ruolo altrettanto fondamentale perché questa decisione condiziona il corso di studi e la conseguente attività lavorativa per tutta la vita; non siamo tutti uguali, non vogliamo tutti le stesse cose, è importante riuscire a fare qualcosa che ci piace o quanto meno evitare di fare qualcosa che proprio non ci piace. È dunque razionale valutare bene la propria scelta all’inizio degli studi universitari, anche cambiando strada quando è il caso, per trovare il percorso che meglio corrisponde alle proprie capacità, interessi e desideri.
Figura 3 – Retribuzione media mensile netta delle laureate un anno dopo il conseguimento del titolo per gruppo disciplinare

Elaborazioni su dati Almalaurea
Il ruolo delle preferenze e quello degli incentivi
Il genere dei laureati è rilevante, in tale contesto, perché gli individui non hanno solo preferenze riferite a beni e servizi, ma aderiscono anche a norme sociali che etichettano le loro scelte come consone o non consone rispetto al loro genere.
L’identità di genere cambia quindi la percezione dei costi e dei benefici che derivano da tali scelte, e fin dall’inizio di questo secolo l’analisi economica tradizionale include nella funzione di utilità anche i benefici e i costi che derivano dai condizionamenti delle norme sociali (Identity Economics).
In tale contesto non è facile separare gli effetti delle preferenze genuine da quelli degli stereotipi. Se da un lato è vero che quando le donne prendono decisioni diverse da quelle maschili le loro scelte potrebbero riflettere semplicemente le loro preferenze genuine, d’altro canto potrebbero anche derivare dal condizionamento degli stereotipi, come evidenziato dagli studi dello psicologo Daniel Kahneman (Nobel per l’Economia 2002), o da una combinazione di entrambi.
In ogni caso, anche quando l’identità di genere svolge un ruolo importante nel determinare le scelte, sia con riferimento alle diverse preferenze sia con riferimento all’azione degli stereotipi, resta il fatto che gli individui, uomini e donne, rispondono alla struttura degli incentivi del sistema economico in cui operano. Date le condizioni del mercato del lavoro (occupazione, retribuzione e organizzazione del lavoro) le scelte osservate possono riflettere sia le preferenze genuine di donne e uomini sia il condizionamento degli stereotipi di genere, ma le scelte osservate sarebbero certamente diverse in circostanze diverse (cioè nel caso in cui venga modificata la struttura degli incentivi). E modificare il comportamento degli agenti in risposta al cambiamento della struttura degli incentivi è esattamente il ruolo della politica economica.
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[1] Mancano i dati per Valle d’Aosta, Molise, Basilicata, Sardegna e P.A. di Bolzano