Salute delle donne, i costi della “misoginia medica”

Le donne ancora subiscono quella che è viene da molti definita come “misoginia medica”. Dai farmaci testati per funzionare su corpi standard – tendenzialmente di giovane uomini – alla tendenza di alcuni medici di non considerare specificamente i sintomi riportati dalle pazienti. Prassi (o abitudini) a cui si aggiungono, un po’ di conseguenza, una minore propensione delle donne a prenotare un consulto medico anche davanti a dolori debilitanti e protratti nel tempo.

O, in casi estremi ma non inauditi, alla non tempestiva diagnosi di alcune malattie perché la sintomatologia differisce dalle linee guida di riferimento (ancora una volta, in molti casi basate sulle caratteristiche del paziente “tipo”, uomo). Un esempio su tutti in questo senso, citato da molti, l’infarto. Ci sono istanze in cui quando una donna ne viene colpita può non riscontrare il più tipico dolore al petto, ma bruciore di stomaco, dolore al collo o alla schiena, difficoltà nella digestione o stanchezza e stordimento.

Non certo nuovo, il tema è tornato sotto i riflettori qualche giorno fa, con la pubblicazione dei risultati dello studio voluto dalla commissione Women and Equality del parlamento inglese e incentrato, nello specifico, sulla salute riproduttiva femminile. Analizzando la situazione corrente, il rapporto ha ribadito come le donne continuano a ricevere cure inadeguate anche proprio specificamente rispetto a condizioni ginecologiche conosciute – l’endometriosi, esempio su tutti. La cause di questo? Secondo il testo, il persistere dello stigma, una carenza di  formazione appropriata del personale medico a riguardo, e una generale “misoginia medica”.

La strategia inglese per la salute delle donne

Facciamo un po’ di chiarezza e qualche passo indietro. Dall’estate 2022 il governo inglese ha introdotto una strategia per la salute delle donne (Women’s Health Strategy). Ovvero un piano decennale che dettaglia i cambiamenti da effettuare per migliorare il benessere femminile. Alla base di questo progetto, la convinzione della necessità di integrare i servizi sanitari per le donne in modo più efficace e con un approccio che guardi a tutto il ciclo della loro vita. Secondo le intenzioni, l’obiettivo di migliorare la salute di tutte le cittadine, deve avvenire anche attraverso migliori accesso ed esperienza della cure.

Nel quadro di questo programma, il passaggio più recente è la pubblicazione del rapporto appena diffuso, incentrato sulle condizioni della salute riproduttiva delle donne. Allo studio dello stato delle cose, voluto dalla commissione parlamentare per le donne e la parità, si affiancano anche raccomandazioni per il governo, chiamato a rispondere entro due mesi. L’immagine restituita, non è confortante. Il testo ribadisce infatti come sono molte le donne nel Regno Unito che, soffrendo di condizioni come l’endometriosi, l’adenomiosi e il sanguinamento mestruale abbondante, vedono i loro sintomi ignorati o normalizzati dal personale sanitario a cui si rivolgono per ricevere un trattamento.

In alcuni casi, inoltre, diagnosi e avvio delle terapie richiedono tempi lunghi, tanto da incidere pesantemente sulla possibilità delle pazienti di avere una vita normale. Con importanti ripercussioni sugli studi, il lavoro, le opportunità di carriera e le relazioni sociali. A fronte di queste difficoltà, l’alternativa resta quella di ricorrere a cure private, che però, dati i costi, non sono affatto accessibili a tutte.

Chiarisce il report: «Lo stigma associato alla salute ginecologica e uroginecologica, la mancanza di educazione e la “misoginia medica” hanno contribuito alla scarsa consapevolezza di queste condizioni. Ciò si riflette nella mancanza di ricerca medica, di opzioni terapeutiche, di specialisti e nella de-prioritizzazione delle cure ginecologiche, come dimostrano le liste d’attesa, che negli ultimi anni sono cresciute più velocemente di qualsiasi altra specialità».

Oltre a disegnare la situazione vissuta da quelle che mostrano sintomi e cercano supporto, viene evidenziata anche la carenza di educazione delle ragazze e degli insegnanti. Incapaci in molti casi di capire cosa sia un ciclo mestruale “normale” o i sintomi di condizioni particolari di salute che richiedono attenzione medica, le giovani per prime beneficerebbero di una formazione specifica. Secondo la commissione inglese sarebbe necessario fornire formazione anche ai ragazzi, a partire dall’inizio dei percorsi di studio secondari.

I dati economici nell’Unione europea

Al contrario del Regno Unito, l’Unione europea non ha una strategia che si interessi specificamente della salute e del benessere delle donne. Non tanto perché le circostanze siano migliori o perché il tema non sussista. Nonostante una certa maggior diffusione e possibile fruizione di contenuti, di attenzione e informazioni a livello globale possiamo dire, anche nel continente il personale medico presenta una preparazione basata principalmente su standard maschili. E le donne continuano ad avere difficoltà quando si parla di salute e benessere. Già quando si tratta di alleviare i sintomi della menopausa – condizione a cui andranno prima o poi incontro.

Di benessere femminile, o meglio delle differenze che ancora sussistono, se ne è parlato a Bruxelles durante la Settimana della parità di genere dal 9 al 15 dicembre al Parlamento europeo. A supporto dei parlamentari che potrebbero intervenire in materia, sono stati presentati i risultati di “Mind the Gap. Costs, consequences and correction of gender inequality in medicine”, analisi ideata e condotta dalla no-profit Care4Everybody, che si dedica alla divulgazione delle differenze di genere nell’assistenza sanitaria.

Questo studio, allargando lo sguardo sulla salute generale delle donne e non solo quindi alle condizioni ginecologiche, si focalizza sull’impatto economico della diversità di genere nella medicina. Una prospettiva scelta apposta, come ha raccontato Friso Coppes di Care4Everybody, intervenendo davanti al parlamentari europei. «Abbiamo parlato con molti (interlocutori nell’università e nelle istituzioni), ma non succedeva niente. Ci serviva una chiave diversa. E ci siamo detti: se metà della popolazione ha un cattivo stato di salute, questo deve avere un impatto economico. Ed ecco che abbiamo effettuato questo studio» che guardasse ai pesi finanziari. In certo modo, quindi, farsi ascoltare usando i costi della mancata cura, invece che giocare la sola carta (comunque necessaria) dell’empatia verso le donne.

Quali sono questi numeri? Ricorda lo studio che l’importo annuo per la UE della spesa medica diretta e indiretta (a prescindere dal genere) è di oltre 4,76 mila miliardi di euro. Con la Germania che, con 489 miliardi di Euro, ha registrato il livello più alto di spesa sanitaria (dati pubblicati a novembre 2024, relativi al 2022), seguita da Francia (314 miliardi) e Italia (176 miliardi). Secondo l’analisi, i costi sono per la maggior parte attribuibili a una peggiore qualità di cura ricevuta dalle donne.

Due esempi specifici riportati riguardano emicrania e endometriosi. Le donne che soffrono della prima delle due condizioni perdono tra i 2 e i 7 giorni di lavoro all’anno. Che corrisponde a un costo del lavoro compreso tra 45,5 e 158,2 miliardi di euro in tutta l’UE. L’endometriosi, che secondo le stime colpisce 28,8 milioni di donne nell’Unione a 27, costa fino a 252 miliardi di euro. Quasi il 70% di quante ne soffre, poi, ogni settimana perde mediamente 7,2 ore (o 180 euro di costo del lavoro) a causa del presentarsi dei sintomi. Secondo i conti di Care4Everybody, si tratta di 129 miliardi di euro all’anno.

Guardando poi al lato ricerca, si legge in “Mind the gap”, come la sperimentazione continui a presentare un forte divario tra i generi. I farmaci attualmente in uso infatti sono nella maggior parte dei casi stati approvarti su studi clinici effettuati principalmente su uomini. Con potenziali effetti inadatti per le donne e un impatto economico calcolato in 52 miliardi di euro –  attribuito a eventi avversi avvenuti sulle pazienti. Il totale di questa spesa, a prescindere dal genere, sarebbe di 79 miliardi.

I calcoli del World Economic Forum

Non solo l’Europa è sotto osservazione e non solo qui si fa il conto dei costi di un “non ottimale” trattamento della salute delle donne. Scriveva a inizio autunno il World Economic Forum che la differenza dei livelli di salute causati dalla mancanza di equità di genere nell’assistenza sanitaria (che spazia dalla ricerca, all’accesso alle cure e al trattamento), significa 75 milioni di anni di vita persi dalle donne ogni anno – a causa di cattiva salute o morte precoce. Se colmato, questo divario offrirebbe loro invece di avere sette giorni in salute in più nei 12 mesi. E 500 giorni nell’arco della vita.

Secondo un rapporto del WEF e McKinsey, inoltre, chiudere questo gap relativo al benessere femminile, riducendo decessi precoci o condizioni debilitanti che nel migliore dei casi limitano il loro contributo sociale ed lavorativo, potrebbe far crescere l’economia globale di mille miliardi di dollari entro il 2040.

Ma le cose per ora non sembrano stare cambiando. Per quanto infatti nel 2020 la stessa McKinsey calcolava che ogni dollaro investito sulla salute delle donne avrebbe potuto restituirne 3 in crescita economica, solo l’1% della ricerca e innovazione era stato speso in patologie femminili (non oncologiche). Inoltre, uno studio pubblicato questa estate, rivelava che i dottori trattano pazienti e le pazienti in modo differente quando si trovano ad alleviare già il dolore. Le seconde aspettano circa mezz’ora in più rispetto ai primi per essere visitate da un medico e hanno probabilità più basse di ricevere antidolorifici.

Uno degli autori dello studio, intervistato da Nature, attribuiva queste discrepanze a pregiudizi immutati e di lunga data: «quando si lamentano del dolore, le donne sono viste come esagerate o isteriche e gli uomini (invece) come più stoici».

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