Quasi un milione di bambini entreranno nelle scuole italiane in questi giorni senza avere la cittadinanza del nostro Paese. Un tema di cui, purtroppo, si parla solo a settembre, quando suona la prima campanella, e che poi rimane sopito per il resto dell’anno. Anche in questa fine estate a livello politico si è discusso della possibilità di dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o trasferitisi qui da piccoli. Ma facciamo un passo indietro.
Quali sono i numeri di cui si parla? Fondazione Ismu Ets ha messo in evidenza che, in base ai dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, durante l’a.s. 2022/2023 il numero di alunni con cittadinanza non italiana sul territorio nazionale ha superato per la prima volta le 900mila unità, vale a dire l’11% del totale degli studenti delle scuole pubbliche italiane
In media, ha cittadinanza straniera più di 1 alunno su 9 (fino all’anno scolastico precedente erano 1 su 10), senza considerare coloro che sono già divenuti italiani – a questo proposito nel 2022 le persone di età inferiore a 20 anni naturalizzate sono state 72mila – né chi è italiano con un background familiare di migrazione. Da sottolineare che i nati in Italia rappresentano ben più della metà degli iscritti con cittadinanza non italiana (65,4%).
Passando invece ai ragazzi più grandi, in base ai dati diffusi dal ministero dell’Università e della Ricerca gli stranieri iscritti all’università nell’anno accademico 2019/2020 sono 90.490, pari al 5,4% del totale degli iscritti. In generale, ogni 100 stranieri iscritti all’università si aggiungono circa 46 nuovi cittadini. Inoltre il 14,6% dei nuovi cittadini iscritti all’università è nato in Italia.
La nuova proposta
Da tempo l’Italia si aspetta una riforma complessiva della normativa della cittadinanza e, nelle ultime settimane di agosto, è riemersa nel dibattito pubblico e nell’agenda politica l’idea dello ius scholae, un tentativo di revisione della Legge 91/1992 (il riferimento normativo principale quando si parla di accesso alla cittadinanza) che vuole collegare l’ottenimento dello status di cittadino al ciclo di studi.
Ius soli, ius scholae, ius culturae sono tra le diverse proposte di legge presentate negli ultimi anni in parlamento, ma il processo legislativo non ha mai portato a una riforma. Tra i sostenitori dello ius scholae, e in precedenza proponente del ius culturae, c’è l’avvocato del foro di Napoli Harry Sedu, che della Legge 91/1992 ad Alley Oop dice: «è una buona legge ma figlia del suo tempo».
La norma, pensata quasi 40 anni fa per applicarsi in genere agli adulti stranieri emigrati in questo Paese, oggi fatica infatti a rispondere alla domanda di appartenenza delle “nuove generazioni di origine immigrata”: bambini e bambine nati o giunti da piccoli nel nostro Paese, cresciuti immersi nella lingua e nella cultura italiana, ma con meno diritti e opportunità dei loro compagni di scuola con passaporto italiano.
In media, ha cittadinanza straniera più di 1 alunno su 9. Sono ragazzi e fanciulli che oggi incontrano difficoltà a partecipare ad attività extra scolastiche (ad esempio, gite all’estero o attività sportive) e che domani non potranno votare o faticheranno a partecipare a un concorso pubblico. Introdurre una legge al passo coi tempi offrirebbe a queste nuove generazioni eque opportunità in termini di socialità e partecipazione.
La società civile intanto prova a mettersi in moto attraverso la democrazia diretta. Proprio in questi giorni è stato lanciato un referendum sulla cittadinanza che vuole allineare la legge italiana alle norme dei grandi Paesi europei. La normativa in vigore stabilisce che la cittadinanza italiana possa essere concessa al cittadino straniero legalmente residente nel territorio della Repubblica da almeno 10 anni. Il nuovo quesito referendario propone invece di dimezzare tale termine, riportandolo a 5 anni.
A scuola
La scuola rappresenta il luogo chiave in cui combattere le disuguaglianze educative ma, come mette in evidenza Save the Children nel rapporto Il mondo in una classe, non riconoscere la cittadinanza italiana a questi bambini rischia di limitare il loro senso di appartenenza al territorio, alla comunità, e limitare a lungo termine il desiderio di partecipare alla vita sociale e, in prospettiva futura, anche a quella politica ed economica del Paese.
Nella vita pratica la mancata cittadinanza italiana complica l’accesso ad attività extrascolastiche come soggiorni educativi all’estero e attività sportive. Nel primo caso, per i minori stranieri non comunitari è indispensabile essere in possesso di un permesso di soggiorno individuale e passaporto validi. Nel caso di partecipazione ad attività sportive, ostacoli si incontrano, ad esempio, nella procedura di tesseramento per i minori presso alcune federazioni sportive – indispensabile per competere nei relativi campionati ufficiali. Differenze di trattamento si riscontrano anche nella possibilità di partecipare a scambi culturali, spesso riservati ai soli cittadini comunitari. I problemi poi proseguono anche oltre il percorso scolastico, una volta maggiorenni, ad esempio per l’accesso alle università o ai concorsi pubblici. Queste limitazioni imposte nei criteri di accesso si intrecciano ai tempi e alle difficoltà che in molti casi i giovani incontrano nella procedura di richiesta della cittadinanza italiana.
Ricerche condotte a livello internazionale hanno dimostrato però una correlazione positiva tra l’ottenimento dello status di cittadino da parte dei minori con background migratorio e i risultati e successi scolastici migliorando quindi le loro aspettative formative, lavorative e di vita future. Ad esempio, uno studio svolto in Germania ha riscontrato che, in media, la percentuale di bocciature tra gli studenti con background migratorio è più bassa del 14% per coloro che hanno ottenuto la cittadinanza.
Come si diventa cittadini italiani oggi
Il riferimento normativo principale quando si parla di accesso alla cittadinanza è la Legge n. 91 del 5 febbraio 1992 secondo cui gli stranieri possono acquisire la cittadinanza italiana attraverso diverse tipologie di procedura: per matrimonio, per trasmissione dai genitori, per discendenza da avi italiani o per elezione di cittadinanza.
«Abbiamo oltre 20 articoli nella legge – illustra l’avvocato Sedu – Le parti più interessanti sono gli articoli 4, 5 e 9. L’articolo 4 comma 2, per esempio riconosce una sorta di ius soli. L’articolo 5 è dedicato ai coniugi di cittadini italiani. Mentre l’articolo 9 e, in particolare, la lettera F, è quello che più compete la naturalizzazione degli stranieri».
Considerando il totale dei “nuovi” cittadini italiani emigrati tra il 2012 e il 2020, il 30,5%, stima Istat, ha acquisito la cittadinanza italiana per residenza, poco più del 9% per matrimonio (soprattutto le donne) e circa il 60% per elezione, trasmissione dai genitori o ius sanguinis. Sempre secondo l’istituto nazionale di statistica, il numero degli stranieri che acquisiscono la cittadinanza italiana è in calo: nel 2021 le acquisizioni sono state 121.457, il -7,8% rispetto al 2020. In calo nel 2021 anche il numero dei nati stranieri in Italia (56.926; -4,8% rispetto al 2020). Dal punto di vista geografico, le acquisizioni di cittadinanza si sono registrate prevalentemente nel Nord-ovest (38,5%) dove la presenza straniera è più radicata, con la Lombardia a fare da traino con il 24,3% di acquisizioni sul totale nazionale.
Per chi è arrivato in Italia anche da molto piccolo vige il principio della naturalizzazione: una volta diventato maggiorenne il giovane può chiedere la cittadinanza ma ha diversi requisiti da soddisfare.
Uno di questi risulta essere il permesso di soggiorno, annotato su quello dei genitori, dalla nascita e la registrazione all’anagrafe del comune di residenza.
«Il permesso di soggiorno di un minore – continua l’avvocato – è legato a quello del genitore con cui ha fatto il suo ingresso in Italia e per ottenere la cittadinanza in Italia al compimento dei 18 anni, è necessario dimostrare una residenza ininterrotta. Tuttavia, questa continuità può essere provata solo tramite un certificato di residenza storico che attesti tutta la sua vita, ossia i 18 anni. Quando uno straniero perde il permesso di soggiorno, viene automaticamente cancellato dall’anagrafe, e quindi, al compimento dei 18 anni, molti ragazzi che avevano frequentato tutta la scuola in Italia risultavano avere solo 4 o 5 anni di residenza anagrafica. Una situazione incompatibile con il loro percorso scolastico compiuto con successo e che si può invece rintracciare su altre documentazioni come libretto delle vaccinazioni, documenti medici, pagelle scolastiche, sufficienti a dimostrare che la persona non si era mai allontanata dall’Italia».
Verso una nuovo modello di cittadinanza
Dal punto di vista delle caratteristiche individuali, le donne e i giovani mostrano una maggiore propensione a diventare cittadini italiani rispetto agli uomini e alle persone di età pari o superiore a 45 anni. Inoltre, un più alto livello di istruzione si associa a una maggiore propensione ad acquisire la cittadinanza. Infine chi è occupato è più incline a diventare italiano rispetto ai non occupati. È quanto emerge dall’ebook Da migranti a nuovi cittadini di Istat.
Sedu è tra gli autori e sostenitori dello ius scholae, che prevede la possibilità di essere cittadini italiani avendo seguito un ciclo scolastico. Lo stesso avvocato spiega come è nata l’iniziativa legislativa: «lo ius scholae nasce a marzo 2021. La legge è stata pensata insieme a un gruppo di amici tra cui Gabriella Nobile, della dell’associazione Mamme per la pelle, l’ex pubblico ministero dell’era di Tangentopoli Gherardo Colombo, Diana Pesci ,che è un attivista per i diritti umani, e Amin Nour, rifugiato etiope anch’egli attivista per i diritti umani. Insieme abbiamo elaborato la norma, che io ho scritto e poi abbiamo presentato ai partiti politici».
Abbandonato lo ius culturae, dato che il concetto di “cultura” è talmente vasto che può essere soggetto a molte interpretazioni, lo ius scholae lega la cittadinanza italiana viene a fatti oggettivi: «riconosciamo l’italianità di questi ragazzi per via di un percorso obbligatorio che qualsiasi cittadino italiano – a prescindere dall’essere figlio di stranieri oppure di cittadini italiani autoctoni – deve affrontare, sia perché così vuole la legge (dato che vige l’obbligo scolastico) sia perché è così è che si forma l’identità di qualsiasi italiano».
Per i sostenitori dello ius scholae la legge del 1992 risulta ormai superata nei fatti e nelle vite di bambini e adolescenti nati da genitori stranieri ma cresciuti in Italia. Lo stesso Sedu dice: «Da avvocato ritengo che sia una buona norma e non sia da abrogare; è legge giusta per quell’epoca ma che durante gli anni è venuta a scontrarsi con i diritti dei minori che un giorno diventeranno adulti. L’esigenza di una modifica di questa norma nasce da una fattispecie concreta che nel 1992 non poteva essere prevista: all’epoca non c’era una presenza massiccia di figli degli stranieri che rivendicavano l’essere cittadini italiani. Oggi invece è cambiata la società. Non per questo bisogna sradicare tutto l’impianto della norma ma basta fare una piccola importante integrazione».
Oltre il rumore politico
In occasione del Meeting di Rimini, il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani è tornato sul tema della cittadinanza legata al ciclo di studi ma perché lo ius scholae diventi legge ora cosa dovrebbe succedere? «Innanzitutto la legge dovrebbe essere approvata dalle Camere, a meno che il governo non decida di metterci la fiducia. Stiamo però parlando di un governo di destra che ha interesse a preservare il proprio elettorato. Ma l’esecutivo è una cosa, il potere legislativo è un’altra, e parte dalle Camere. Chiediamo di lasciare decidere a chi legifera, cioè a Senato e Camera dei Deputati, affinché loro liberamente in scienza e coscienza possano autodeterminarsi e far approvare questa legge» dice Sedu, vicepresidente dell’Ordine avvocati di Napoli da aprile 2024.
A beneficiarne potrebbero essere milioni di giovani: «Ci riempie d’orgoglio il fatto che lo ius scholae oggi sia oggetto di dibattito pubblico nazionale, ma ora vorremmo tanto che venga approvata perché il numero di ragazzi e ragazze che potrebbero beneficiarne è molto più elevato di quello che si vede nei dati statistici. Parliamo anche di soggetti che non frequentano più le scuole ma che tuttavia, in virtù di una modifica della legge, avrebbero diritto al riconoscimento della cittadinanza. In termini numerici, sono molti di più degli 870mila, cifra circolata finora. Nella mia previsione siamo oltre i 3-4 milioni di cittadini», stima Sedu.
Intanto si muove anche la società civile. Diverse associazioni di italiani senza cittadinanza, insieme a realtà associative e partitiche hanno presentato un referendum sulla cittadinanza che si pone l’obiettivo di raccogliere 500mila firme entro il 30 settembre. Tra i sostenitori c’è Emma Bonino, presidente di +Europa che sui social commenta «sono ‘stranieri’? No, sono italiani, perché ogni giorno studiano, lavorano e pagano i contributi in Italia e grazie al loro lavoro, al loro talento e al loro impegno contribuiscono alla tenuta economica, sociale e culturale del nostro Paese». Ai fini della concessione della cittadinanza, oltre alla residenza ininterrotta in Italia (che questo referendum propone di ridurre a 5 anni) resterebbero invariati gli altri requisiti già stabiliti dalla normativa vigente e dalla giurisprudenza.
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