Tanti passano nei centri di detenzione in Libia e sbarcano sulle coste italiane con i barconi. Altri arrivano dalla rotta balcanica. Tutti raccontano storie di torture, privazioni e sofferenze incredibili. Sono i minori stranieri non accompagnati (Msna), oltre 20mila in Italia. Sono per lo più maschi, 17enni, egiziani, che sperano di trovare nel nostro Paese un futuro migliore, per sé e per la propria famiglia. Da gennaio a metà giugno i giovani arrivati via mare sono praticamente raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022. Le regioni ai primi posti per l’accoglienza sono la Sicilia e la Lombardia, con fulcro a Milano, dove sono 1300 i minori stranieri non accompagnati, più del doppio rispetto a due anni fa. Nel capoluogo lombardo i ragazzi arrivano volutamente, tramite passaparola, spesso hanno in tasca bigliettini con gli indirizzi dei luoghi a cui devono rivolgersi. Sperano di trovare un lavoro e soldi da mandare ai parenti rimasti nei paesi d’origine. Ma la realtà è più complessa e qualcuno finisce sulla strada della droga e della criminalità, con un aumento dei disagi mentali, segnalano gli operatori. Alcuni – il 30% – vengono sistemati fuori città o regione, poiché il sistema d’accoglienza milanese non riesce a farsi carico di tutti. La ex cascina di via Zendrini ne ospita 12, che restano fino a 18 anni o più. L’obiettivo è avviarli al lavoro e all’indipendenza.
Il centro di Via Zendrini a Milano
“Appena arrivati, i minori vengono sottoposti alla visite con medico e psicologo, con l’aiuto del mediatore linguistico culturale. Poi l’assistente sociale valuta il percorso migliore – ordinario o di protezione internazionale. Insieme valutiamo quale sia l’accoglienza migliore, perché non sono i minori a doversi adattare al sistema di accoglienza, ma viceversa”. A parlare è Barbara Lucchesi, responsabile del centro gestito dal comune di Milano, dove dal 2019 una ex cascina ospita 12 ragazzi, minori stranieri non accompagnati più una ragazza, che al momento non è presente. Nello stabile, immerso nel verde nel quartiere Primaticcio, c’è anche il laboratorio Labanof dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università degli studi di Milano, che valuta l’età biologica e studia le lesioni sul corpo dei ragazzi. “Per il 90% circa si tratta di giovani che arrivano spontaneamente, gli altri vengono intercettati da forze dell’ordine, ospedali o procura/magistratura, dove i ragazzi si recano anche da soli, per essere poi trasferiti nelle comunità”, spiega Lucchesi, che identifica due elementi comuni a tutti questi giovani: “In viaggio terribile che lascia segni nella mente e sul corpo; la speranza nel profondo del cuore di avere un futuro migliore e di poter offrire alla propria famiglia qualcosa di meglio rispetto a ciò che hanno nel loro paese d’origine. Questa è la vera spinta che li porta in Italia”.
Il futuro dei minori tra studi, lavoro e fuga
La responsabile del centro di via Zendrini ci racconta che i ragazzi restano in comunità solitamente fino ai 18 anni, ad eccezione di chi non desidera rimanere in Italia ma vuole proseguire fino al Nord Europa – Germania, Svezia, Olanda, Francia – dove hanno già i famigliari. Sono per lo più somali, iraniani, afghani, ma anche originari di Gambia, Mali, Costa d’avorio, Congo. Per chi decide di rimanere a Milano, vi è la possibilità di restare in comunità fino a 21 anni: ad esempio i ragazzi che vogliono continuare gli studi o nei casi di forte vulnerabilità. Per tutti vi è un accompagnamento al lavoro e il primo step, quando arrivano nei centri, è l’apprendimento della lingua italiana. “Negli ultimi anni per questi ragazzi vi è stato un aumento delle problematiche di disagio mentale, con un incremento delle segnalazioni alla neuropsichiatria infantile e una crescita di denunce e reati penali. Inoltre, molti fanno uso di sostanze stupefacenti”, sottolinea Lucchesi. Anche per questo a Milano c’è una collaborazione continua tra comune, tribunale e procura per i minorenni, prefettura e forze dell’ordine.
Il caso Milano: il 30% dei minori viene collocato fuori regione
Il Comune di Milano ha attualmente in carico circa 1300 minori stranieri non accompagnati, un numero quasi doppio rispetto a due anni fa e che ha portato il sistema cittadino ad andare ben oltre la capacità di accoglienza, tanto che il 30% dei ragazzi, pur essendo in carico all’amministrazione milanese, è ospitato in comunità fuori città e addirittura fuori regione, con conseguenze negative sui percorsi di inclusione scolastica e lavorativa. “Per avere un’accoglienza di qualità servono cifre più sostenibili, abbiamo un numero di MSNA mai raggiunto negli anni“, sottolinea l’assessore al welfare e salute, Lamberto Bertolè, aggiungendo: “le strutture di accoglienza sono piene. Serve un sistema di redistribuzione nazionale, la mia preoccupazione sul futuro di questi ragazzi è molto alta”. Il 70% dei minori stranieri non accompagnati che si trova a Milano arriva da Egitto, Albania, Tunisia e Bangladesh. Il comune con il tribunale per i minorenni, la procura e la prefettura hanno avviato un’interlocuzione con i consolati dei vari paesi di provenienza per trovare soluzioni alternative al collocamento in comunità: l’affido omoculturale, ovvero l’affidamento a una famiglia della stessa nazionalità.
Numeri in crescita, la maggior parte sono maschi e over 16
In Italia, secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al 31 maggio erano 20.510 i minori stranieri non accompagnati, l’86% di genere maschile, il 70% con più di 16 anni. Il 25% ha la cittadinanza egiziana, il 22,5% ucraina. Ai primi posti per l’accoglienza la Sicilia (con il 21%) e la Lombardia (13%). I numeri del Ministero dell’interno mostrano al 26 giugno 6833 minori non accompagnati sbarcati nel nostro paese dopo aver attraversato il Mediterraneo, contro i 2505 al 13 giugno 2022 . “Il nostro sistema di accoglienza è disciplinato dalla legge 47 del 2017, la cosiddetta legge Zampa – precisa Niccolò Gargaglia, responsabile protezione minori migranti di Save the Children – Nelle strutture di accoglienza di primo livello i minori stranieri soli dovrebbero restare al massimo 30 giorni, per poi essere trasferiti e presi in carico dal secondo livello di accoglienza, le strutture Sai, fino al compimento del 18esimo anno di età. Ciò spesso non succede e la permanenza nei centri di primo livello supera i 30 giorni e diventa molto più lunga”.
Dunque, i dati e le testimonianze mostrano un numero dei minori stranieri non accompagnati in continuo aumento in Italia e a Milano, dove il sistema d’accoglienza è ben strutturato ma saturo, con problematiche elevate. Nonostante le criticità, sono tante le storie di giovani che ce la fanno, che tornano in comunità raccontando del lavoro, dei figli, di una nuova vita appena iniziata. Come Bilal, che dopo anni in strada e un passato da baby rapinatore – così era stato definito – ha discusso l’esame di terza media. “Ci siamo commossi tutti, in quei momenti capisci che il nostro lavoro serve davvero“, ci racconta chi da anni lavora con giovani che spesso considerano l’Italia la terra promessa.
Ecco il link per ascoltare le voci dei protagonisti e l’intero reportage di Livia Zancaner su Radio 24.
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