In molti la considerano l’età più emotivamente faticosa che esista, l’adolescenza. Le tante e contemporanee modificazioni psicofisiologiche che appartengono a questo periodo rendono i ragazzi più preda di emozioni contrastanti, più nervosi, più conflittuali nei confronti dei genitori, meno loquaci, più pretenziosi e schivi, in casa malmostosi e generalmente apatici.
E davvero per loro è un periodo difficile, dilaniati come sono tra la spinta a crescere e il desiderio di tornare bambini, bisognosi di trovare una loro identità nuova e allo stesso tempo addolorati dalla percezione che il loro dorato mondo infantile se ne stia andando. Vorrebbero tanto che, come un tempo, tutti i problemi si potessero risolvere con un gelato o un abbraccio della mamma o del papà, ma sentono che non è più così. Anzi, quella mamma e quel papà non appaiono più come dei dell’olimpo, ma come persone in carne ed ossa con pregi e difetti, e questo li fa arrabbiare, perché tutto diventa più difficile, si sentono più soli. E iniziano a combattere con loro per sentirsi diversi, unici, speciali, per prendere le distanze da quelle dinamiche infantili che altrimenti li trascinerebbero indietro e li farebbero sentire ancora bambini: “Voi non capite niente!”, è la frase che ripetono più spesso, perché ora hanno bisogno di essere rispecchiati dagli amici, dai pari, di venire approvati da chi è come loro. Vogliono sentirsi grandi, il loro modo di pensare si è evoluto ed assomiglia a quello degli adulti, ma la loro maturità emotiva, che sempre deriva dall’esperienza, è ancora neonata, perché di esperienze ovviamente ne hanno ancora fatte troppo poche. Per questo soffrono tanto e suscitano una particolare tenerezza.
Ma che vogliamo dire dei genitori? Lo devo dire, anche loro mi suscitano tenerezza, sempre più spesso, nella stanza di terapia. Il travaglio vissuto dai genitori di questi adolescenti, che si trovano inevitabilmente di fronte a un cambiamento spesso improvviso e violento di quel figlio/a che per loro fino a poco prima sembrava una persona di un certo tipo, e poi ne diventa un’altra. Non a caso, la frase ripetuta più spesso da loro invece, e a ragione, è: “Non lo/la riconosco più”.
In genere questo accade quando i ragazzi hanno tra i 13 e i 16-17 anni, momento in cui l’inarrestabile processo di trasformazione prende il via. Succede spesso che il bambino o la bambina educati, gentili, rispettosi e sempre in ascolto delle parole genitoriali diventino degli individui taciturni, imbronciati, le cui risposte non superano un monosillabo, il cui rendimento scolastico spesso cala vertiginosamente, a volte aggressivi, disordinati a livelli stellari, non più desiderosi di passare del tempo con la famiglia, sempre inquieti e con cambiamenti d’umore repentini che quasi spaventano e inducono a pensare di trovarsi di fronte ad un disturbo grave di qualche tipo. Ecco, i loro genitori a questo punto iniziano a pensare di aver sbagliato qualcosa, alcuni proprio tutto, nel modo in cui hanno cresciuto i propri figli, e quando li incontro sono a volte arrabbiati ma anche sinceramente addolorati.
Quello che va accettato è che l’adolescenza dei figli è un duro baco di prova per i genitori, anche per loro è un momento complesso e difficile. In qualche modo sia i ragazzi che gli adulti stanno vivendo un lutto, la perdita cioè di quel bambino che si sta trasformando, e che sta assumendo caratteristiche completamente diverse da quelle con cui erano abituati a convivere. Sentimenti di dolore, impotenza, tristezza, rabbia e/o paura sono assolutamente normali, così come alcuni conflitti sono davvero necessari e inevitabili. Il genitore spesso è bersagliato dall’adolescente iroso che conosce benissimo i suoi punti deboli e sa dove “colpirlo”, spesso con critiche o insulti che lo lasciano ferito e senza parole.
Due cose a mio avviso sono importanti per far sentire sostenuti i genitori e non lasciare che perdano la speranza. La prima è cercare di prendere il meno possibile le accuse dei figli sul personale: i ragazzi non pensano realmente ciò che dicono quando magari litigando arrivano a offendere la mamma o il papà, ma stanno mettendo alla prova, sono solo arrabbiati perché il gelato o l’abbraccio non bastano più e vogliono inconsciamente “punire” qualcuno (anche se è chiaro che non è colpa di nessuno), ma desiderano anche, sempre in modo non consapevole, vedere se il genitore può reggere alle loro provocazioni, rimanendo sempre un saldo punto di riferimento. Mai perdere la fermezza amorevole e la capacità di negoziare regole e confini: ne hanno ancora molto bisogno.
La seconda cosa importante è ricordarsi che questa è solo una fase di passaggio e quindi passerà: piano piano il tumulto si attenuerà, i ragazzi cresceranno e, se il legame era stato sano e forte quando erano bambini, da più grandi potranno permettersi di sperimentarlo di nuovo con grande gioia e senza sentirsi minacciati nella loro individualità. Hanno solo dovuto metterlo da parte per un po’. Il giovane adulto può finalmente tornare a dimostrare affetto ai propri genitori, spesso si scusa per come si è comportato negli anni passati e ritrova, fioriti, i semini piantati quando era piccolo dalle figure di riferimento, con l’aggiunta di tutto ciò che ha dovuto imparare e sperimentare da solo, per diventare una persona autentica e integrata.
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