Perché la comunicazione di Salvini funziona e cosa manca alla sinistra

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E’ possibile che i guru della comunicazione di un leader politico si facciano ispirare da un cartone animato? Se si esamina con attenzione la pagina Facebook (la più seguita tra i politici italiani con 3,5 milioni di “mi piace”) del segretario della Lega Matteo Salvini pare  proprio di sì. Sembra che il “Capitano”, come lo chiamano nel suo staff, abbia attinto a piene mani da “Inside Out”, il cartone campione di incassi della Pixar basato sulla animazione delle cinque emozioni base dell’essere umano: gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto. Quasi tutti i post di Salvini sono infatti costruiti per suscitare reazioni: soprattutto rabbia, disgusto e paura. Senza dimenticare gioia e tristezza.

Troppe emozioni e pochi contenuti? Forse. Con le emozioni non arresti il declino del Pil, dell’export e della produzione industriale. Ma le emozioni sono fondamentali  nella strategia di comunicazione politica. E il leader della Lega ci punta molto.

La sinistra, invece, per paura di “fare come Salvini”, di “parlare alla pancia delle persone” sembra fuggire dalle emozioni e preferire “la testa”. Sembra prediligere le statistiche e i ragionamenti. Mostrando in generale poca capacità di intercettare e capire la paura e la rabbia delle persone, soprattutto dei ceti popolari impoveriti dalla crisi.

“La polarizzazione tra i ‘cattivi’ che usano le emozioni e i ‘buoni’ che usano gli argomenti razionali ricorda molto un errore simile fatto dalla sinistra degli anni ’90 quando Berlusconi decise di ‘scendere in campo’, portando metodi e strumenti tipici del marketing elettorale americano: sondaggi, uso pubblicitario della comunicazione, centralità del mezzo televisivo, storytelling personale” spiega Dino Amenduni, esperto di comunicazione politica e pianificazione strategica dell’agenzia di comunicazione Proforma, che ha curato, tra l’altro, la campagna elettorale del Pd in occasione delle europee 2014 e nelle politiche del 2018.

“Ai tempi – aggiunge – ci fu una specie di riflesso condizionato legato alla rivalità politica: siccome Berlusconi usa questi metodi, io non devo usarli per dirmi diverso da lui. Ma ignorare ciò che ci dice la psicologia cognitiva (e cioè che solo il 2% delle decisioni prese dagli esseri umani sono mosse da argomentazioni razionali) volle dire, di fatto, regalare un vantaggio agli avversari”. La sinistra contemporanea secondo Amenduni “fa un errore molto simile, schiacciando la comunicazione emozionale sulla generica etichetta di ‘populismo’ e rinunciando, sostanzialmente, alla battaglia per conquistare i cuori e non solo le menti degli elettori”.

In pochi a sinistra sembrano ad esempio avere il coraggio di dire che l’immigrazione è un problema oltre che una (grande) risorsa. E che la sinistra deve farsi carico delle paure delle persone, accoglierle, e poi gestirle. Non banalizzarle o ridicolizzarle. Altrimenti le persone, non “viste” e non “capite” restano sole e si rivolgono a esonenti politici come Matteo Salvini. L’essere umano, e quindi anche l’elettore, non è solo testa, ma anche cuore e pancia. Va preso tutto. Nulla va buttato o rimosso. Ma va dosato. La rabbia e la paura che albergano nella pancia vanno ascoltate e poi filtrate con l’empatia del cuore. E solo allora gestite con i numeri, i ragionamenti, i discorsi. Solo così si può tra l’altro tornare a parlare al popolo e alle periferie.

“Salvini usa le emozioni primarie, soprattutto quelle negative. Ma questo – aggiunge Amenduni – non impedirebbe alla sinistra di utilizzare le emozioni positive, in particolare la gioia e la speranza: lo ‘hope’ di Obama funzionò in modo speculare a ciò che Salvini (e il M5S pre-governo) ha fatto in questi anni, indicando nemici da abbattere utilizzando con sapienza tutti i trucchi della psicologia cognitiva”.

La sinistra italiana è dunque davanti a un bivio, secondo Amenduni: “Continuare a perseverare in questo dualismo tra ragione ed emozione, regalando di fatto un campionario di strumenti efficaci agli avversari, o iniziare a costruire una narrazione basata su sentimenti positivi, sul coinvolgimento delle persone, persino sulla gioia”. Un esempio? La marcia Fridays for Future del 15 marzo che ha parlato di “argomenti serissimi” come la tutela dell’ambiente e i cambiamenti climatici “ma non lo ha fatto né con tabelle né attraverso la rabbia”.

Un altro esempio che sembra andare in questa direzione è il caso di Valeria Mancinelli, sindaca Pd di Ancona, 63 anni, al secondo mandato, avvocato amministrativista e vincitrice del World Mayors Prize 2018, riconoscimento conferito ogni due anni dalla filantropica City Mayors ai sindaci che si sono distinti non solo per leadership e capacità di tenere unita la propria comunità, ma anche per empatia. “In questi anni – ha dichiarato Mancinelli – ho stabilito un patto di sincerità con la mia comunità: racconto in maniera chiara e trasparente ciò che si fa, i passi necessari alla realizzazione di qualsiasi progetto, le difficoltà che si incontrano, ma anche le difficoltà che si incontrano. E’ la politica fatta di carne e ossa”.

Non a caso sull’immigrazione Mancinelli ha una posizione “realista”. “E’ un tema difficile – dice – da affrontare senza parabole buoniste, incapaci di guardare in faccia i problemi che questi fenomeni generano”. Un ruolo fondamentale lo svolgono “la scuola, gli insegnanti e le tante associazioni di cittadini”.