Oggi sembra ormai universalmente riconosciuto il gender pay gap, o perlomeno se ne parla parecchio e si è anche arrivato a quantificarlo: che per ogni dollaro che un uomo guadagna, alle donne, a parità di qualifica professionale, arrivano 80 centesimi. Ad essere meno conosciuto, ma non meno reale, è invece il gender investment gap.
Secondo una ricerca BCG – Global Management Consulting, quando le imprenditrici espongono le proprie idee agli investitori nella fase early stage ottengono significativamente meno rispetto agli uomini, in media oltre 1 milione di dollari in meno. Eppure, sempre secondo questa ricerca, le attività imprenditoriali avviate da donne ottengono ritorni migliori, oltre due volte un dollaro investito, rispetto a quelle fondate da uomini. In sintesi, nonostante le aziende al femminile rappresentino investimenti migliori, i finanziatori sembrano non cogliere questa opportunità. Perché.
BCG ha recentemente stabilito una partnership con MassChallenge, un network globale di acceleratori con base negli Stati Uniti. Dalla sua fondazione, nel 2010, MassChallenge ha finanziato più di 1.500 attività di business e circa il 42 per cento delle attività di business accelerate da MassChallange aveva un fondatore donna. Da un’indagine condotta su dati raccolti con la collaborazione di diverse startup in un arco temporale di cinque anni, è emerso che l’ammontare degli investimenti in aziende fondate o cofondate da donne è pari a 935mila dollari, meno della metà della media di 2 milioni e centomiladollari investiti in aziende fondate da uomini.
Nonostante questo le startup fondate e cofondate da donne hanno performato meglio nel tempo, generando il 10 per cento in più di revenue: 730mila dollari contro 662mila. In pratica, per ogni dollaro investito queste startup hanno generato 78 centesimi, mentre quelle fondate da uomini hanno avuto un ritorno di soli 31 centesimi, meno della metà.
Resta da spiegare, quindi, perché secondo PitchBook Data, dall’inizio del 2016 le aziende con donne fondatrici abbiano ricevuto solo il 4,4 per cento dei deal di venture capital.
Secondo un sondaggio effettuato tra startupper e operatori, le criticità rilevate sono principalmente tre:
1) Le donne, più degli uomini, sono sottoposte a critiche e obiezioni durante le loro presentazioni, per esempio molte dichiarano di aver dovuto dimostrare di avere competenze tecniche di base, perché spesso gli investitori semplicemente presumono che le donne fondatrici non le abbiano. Ma se un potenziale investitore espone una critica, la donna tende ad accettarla come un feedback legittimo laddove un uomo direbbe: lei ha torto e le spiego perché.
2) In secondo luogo, gli imprenditori uomini tendono a fare proiezioni e ipotesi di business plan più audaci mentre le donne sono più prudenti e tendenzialmente chiedono meno.
3)Terzo, molti investitori uomini hanno poca familiarità con i prodotti o servizi che le imprenditrici rivolgono alle altre donne. Secondo Crunchbase, il 92 per cento dei venture capitalist negli Stati Uniti sono uomini e in generale le donne propongono idee di business di cui hanno avuto esperienza diretta.
Per lavorare a ridurre l’investment gap il principale suggerimento è quindi quello di riconoscere e e modificare i tipi di bias che mettono le donne in condizione di svantaggio. Da un lato i venture capitalist dovrebbero basarsi su dati più reali per le loro scelte, dall’altro le imprenditrici, oltre a svolgere attività di lobbying e networking, dovrebbero imparare a misurarsi e combattere con la realtà attuale, per esempio rivolgendosi a coach specializzati per preparare i pitch, imparare a chiedere di più, a rispondere alle critiche e a non sottostimare per prime il valore delle proprie aziende.