In Danimarca si lamentano per la mancanza di parità di genere. Nessun Paese è perfetto, come hanno tenuto a sottolineare molti dei commenti al mio articolo sul “paragrafo mamme” del contratto di governo.
Perché ci lamentiamo e cerchiamo la polemica anche dove ci sono le buone intenzioni? Da qualche parte bisogna pure cominciare…
La storia controversa del rapporto tra le donne, la famiglia e il lavoro in Italia è però in corso da molti decenni. Un avanzamento a singhiozzo, così lento da sembrare qualche volta una marcia indietro. Per questo è interessante leggere le autocritiche di un Paese come la Danimarca, che è all’8° posto nella classifica mondiale del World Economic Forum per la parità di genere (l’Italia quest’anno è 82°, avendo perso 5 posizioni dallo scorso anno). Le loro autocritiche, infatti, partono dallo stesso punto dove il nostro governo mette le proprie buone intenzioni: il congedo di maternità. La Danimarca su questo aspetto è tra i leader nel mondo.
I neo genitori hanno diritto a 52 settimane di congedo: 18 sono esclusive della madre, 2 del padre, le altre 32 possono usarle entrambi i genitori. Eppure la maternità causa alle donne un abbassamento di reddito di oltre il 20%, che non viene più recuperato nell’arco della vita lavorativa. Come mai? La giornalista Bodil Nordestgaard Ismiris, nel pezzo dedicato a questo tema sull’Harvard Business Review punta il dito contro il fatto che la cultura previene la reale condivisione del congedo: i padri finiscono col prendere solo 30 giorni, i restanti 300 li prendono le madri. La Svezia evita questo effetto “stigma del congedo di maternità” rendendo disponibili “solo ai padri” 90 giorni di congedo. E’ la norma, quindi, che interviene per accelerare il cambiamento di cultura. I Danesi guardano con attenzione in particolare ai padri manager, che prendono in media meno di tutti gli altri: 14 giorni di congedo o meno. E su questo il Ministero per l’Eguaglianza sta facendo partire una campagna.
Insomma, c’è molto da fare in Danimarca, e l’attenzione è alta. D’altronde è tra i Paesi in cui, grazie all’avanzamento della parità di genere, il PIL è cresciuto dal 10 al 20% negli ultimi 50 anni. Eppure le donne fanno ancora fatica a raggiungere posizioni di vertice: negli ultimi 20 anni il numero di top manager donna è passato dal 10 al 15%, e oggi solo il 6% dei CEO sono donne. Secondo molti studi, vanno tenute d’occhio proprio le politiche di condivisione dei carichi di cura e, in seconda battuta ma non meno importante, l’esistenza di modelli manageriali compatibili con la dimensione femminile.
Conclude infatti Bodil Nordestgaard Ismiris che alle donne non basta vedere in ruoli di potere donne in tutto e per tutto uguali agli uomini per immaginarsi in quelle posizioni. Donne e uomini “in cima” sembrano riproporre competenze e stereotipi identici, altro che diversità. Serve uno sforzo concreto per diversificare i modelli e dare spazio al nuovo. La giornalista conclude quindi che con un messaggio
“ai Paesi che intendono rafforzare il proprio welfare sociale e devono sapere che servizi per l’infanzia accessibili e il congedo di maternità sono un buon inizio, ma non bastano”.
E soprattutto, dovrebbero essere ormai la norma, mentre il pensiero politico dovrebbe indicare la strada per farci vedere un’Italia più moderna, al passo con gli altri grandi Paesi del mondo.