È il reporter venezuelano Ronaldo Schemidt (Caracas 1971) dell’agenzia di stampa AFP (Agence Photo Presse) il vincitore del World Press Photo 2018: ieri, giovedì 12 aprile, ha ricevuto ad Amsterdam, città sede della fondazione che ha istituito il premio, il riconoscimento considerato l’oscar del fotogiornalismo.
La spettacolare immagine, scattata a Caracas il 3 maggio 2017, durante alcuni scontri tra polizia e manifestanti, è emblematica della gravissima crisi politica ed economica che sta prostrando lo stato sudamericano, sotto la controversa presidenza di Nicola Maduro; raffigura un giovane dimostrante, José Víctor Salazar Balza, in una corsa disperata mentre i suoi vestiti sono avvolti dalle fiamme, causate dall’esplosione del serbatoio di una motocicletta sottratta dai dimostranti alle forze dell’ordine.
Schemidt è lì, a una distanza ravvicinatissima dall’azione, può sentire il calore del fuoco e il puzzo acre del fumo nell’aria, ha nell’orecchio ancora l’eco della detonazione, ma in lui avviene un dialogo a velocità impressionante tra l’occhio che coglie quell’immagine e il dito che clicca sull’apparecchio fotografico: se fosse un portiere di calcio potremmo parlare di una parata d’istinto, di un gesto che sta tra l’automatismo nervoso e una decisione emotivo/razionale. Fatto sta che scatta e ferma per noi un’istantanea prodigiosa, come cogliendo il frame di un video.
Ronaldo Schemidt è infatti un reporter ormai di lungo corso: dopo aver studiato antropologia all’università di Caracas, ventinovenne si trasferisce in Messico per diventare fotografo, dominato da un’idea fondamentale, quella di fare il fotoreporter. Nel 2003 inizia a collaborare con la francese AFP, una delle più importanti agenzie di stampa a livello mondiale la cui fondazione risale addirittura al 1835, venendo assunto nel 2006 presso la rappresentanza messicana: si è occupato di reportage a Cuba, seguendo in particolare la fine di Fidel Castro, i mondiali brasiliani del 2014 e i gravi terremoti nel Messico nel corso del 2017.
Questa sua foto, come ho già avuto modo di sottolineare, richiama il cinema d’azione: un’inquadratura ravvicinatissima, un taglio diagonale, quasi piatto, fortemente dinamico, che sembra proiettarci addosso il protagonista e, ovviamente, la reazione immediata, viscerale, che suscitano in noi le fiamme che ne avvolgono il corpo sono gli elementi che determinano un fortissimo impatto emozionale. Questi elementi formali e di contenuto vengono montati in un’immagine strutturata, costruita armonicamente: la figura è esattamente al centro dell’inquadratura, con un effetto di stabilità e compattezza percettiva, cui contribuiscono l’illuminazione uniforme e l’omogeneità cromatica, dominata dai gialli e rossi. Velocità e geometria, istante che fugge e ripresa che lo coglie senza bloccarlo nel suo fuggire: Magdalena Herrera, direttore della fotografia di Geo France e presidente della giuria internazionale del WPP, l’ha definita “una foto classica, ma che ha un’energia istantanea e dinamica”.
Ma in quest’immagine ci sono degli ulteriori elementi di forza, su cui altri giurati richiamano la nostra attenzione: Bulent Kiliç, reporter pluripremiato e responsabile della sede turca di AFP, ci fa notare la pistola disegnata sul muro a destra, sulla stessa linea della testa del giovane, una pistola che spara la parola PAZ (pace).
Whitney C. Johnson, vice direttore della fotografia al National Geographic, sottolinea inoltre la portata simbolica che la foto assume ai nostri occhi: “L’uomo ha una maschera sul viso. Si trova così a rappresentare non solo stesso in preda alle fiamme, ma piuttosto l’idea che il Venezuela sta bruciando.”
Il giovane Balza, fortunatamente, sappiamo che si è salvato; per il Venezuela invece non abbiamo ancora una risposta …