Esiste un filo conduttore tra le lucertole, la celebre ex direttrice di Vogue America Diane Vreeland e Il romanzo ‘Il Gattopardo’. E questo filo si chiama Manolo Blahnik, il leggendario designer di calzature femminili di origine spagnola. Lo ‘scultore delle scarpe‘, come lo hanno definito.
Non c’è quasi donna al mondo, appassionata di moda o di Sex and the City, che non le conosca (o non le abbia desiderate). Ma se le sue calzature e il brand sono noti, la storia personale dello stilista lo è un po’ meno. Ad arricchire e aggiungere elementi inediti al racconto della sua vita arriva il film ‘The Boy Who Made Shoes for Lizards’ (‘Il ragazzo che confezionava scarpe per lucertole’), presentato in anteprima in Italia lo scorso 20 dicembre.
Il film-racconto ripercorre vita e carriera di Manolo Blahnik (oggi 75nne), attraverso filmati di repertorio, alcuni pezzi inediti, aneddoti e interviste allo stesso Blahnik e a personaggi famosi (attori, cantanti, modelle, fashion editor, stilisti, esponenti del jet set internazionale) che lo hanno conosciuto, e in alcuni casi aiutato nella sua formidabile ascesa.
Era nel suo destino arrivare a disegnare calzature, nonostante un padre di origini austro-ungariche che lo voleva avviato alla carriera diplomatica. Già da ragazzino aveva l’ossessione di rincorrere (e cercare di vestire) i vari animaletti che trovava in campagna. In particolare, alle lucertole veniva riservato l’onore di indossare ‘scarpine’ da lui confezionate con la stagnola delle amate caramelle Cadbury’s.
E se poco più che ventenne lasciò casa per andare a studiare arte e scenografia, fu un incontro tanto goffo quanto fortunato a fargli capire che non di arte doveva occuparsi, ma proprio di scarpe. Fu così che si recò nell’ufficio di Diana Vreeland a New York negli anni ’70 con alcuni bozzetti, pieno di speranze ma allo stesso tempo pietrificato e muto per l’emozione. Vreeland stessa sfogliando i vari disegni ad un certo punto si bloccò, indicando con il dito: ‘Le scarpe! Devi concentrarti su queste’.
Cosa che fece. E d’altra parte come avrebbe potuto essere diversamente, lui dotato di genio, creatività, immaginazione e così affascinato dai piedi e dalla loro forma. Tanto da avere una venerazione per quelli delle statue greche e romane, o per quelli raffigurati da Goya, che Blahnik definisce ‘Il re delle scarpe’.
E lui stesso lo è diventato. Non è un caso che proprio di Blahnik fossero le calzature che hanno vestito la Marie Antoinette di Sofia Coppola (Oscar per i costumi nel 2007 con Milena Canonero). Ben 23 paia di scarpe furono da lui disegnate e realizzate per questo film: un lavoro molto faticoso e impegnativo, come ha ammesso, ma dal risultato eccezionale. Scarpe dai colori pastello, sexy e maliziose, pop e sontuose, con fibbie, fiocchi, pizzi. Oggetti per una nobiltà decadente, incurante di ciò che succede intorno, in cui il tempo sembra fermarsi, e dove vanità, ozio e opulenza scandiscono le giornate.
Aristocrazia e decadenza, un’atmosfera che lo affascina e che Blahnik ritrova anche nella Sicilia del romanzo ‘Il Gattopardo’ di Tomasi di Lampedusa, libro che rilegge regolarmente o che ripercorre attraverso le immagini del film diretto da Luchino Visconti: un mondo cristallizzato, dove tutto sembra destinato a rimanere immutato, ma che nella ricchezza delle degli abiti e degli ambienti gli fornisce ogni volta dettagli nuovi per i suoi disegni.
Sostanzialmente un solitario, malgrado una vita che lo ha portato a viaggiare molto e che gli ha permesso di incrociare nell’arco di quasi 50 anni di carriera innumerevoli personaggi del jet set inglese, spagnolo e parigino. Principesse (tra cui Lady Diana che indossava proprio le sue scarpe in un famoso gala alla Serpentine Gallery con un abito nero corto e scollato), fashion editor (tra cui Anna Wintour, che andò a conoscere Blahnik a Londra negli anni ’70 quando aveva aperto il suo primo negozio), giornalisti (tra cui l’eccentrica e teatrale Anna Piaggi, musa ispiratrice di Karl Lagerfeld), attrici, supermodelle, rockstar, registi, stilisti (tra cui l’amica Paloma Picasso, o John Galliano, che Blahnik aiutò a rilanciarsi nel 1993 fornendogli gratuitamente una serie di calzature per sfilare con la nuova collezione).
Ha sempre odiato la folla, il rumore, l’odore della gente, la pressione (anche e soprattutto quella giunta negli anni ’90 con il successo di ‘Sex and the City’ e della sua protagonista Carrie, scrittrice con l’ossessione per le scarpe Manolo Blahnik).
Snob ed eccentrico, ma soprattutto un romantico, amante dei giardini, da cui trae costante ispirazione. “La prima cosa che ho toccato da bambino sono i fiori (… ) Adoro la glicine e il suo profumo”. Dotato di un’immaginazione che non si esaurisce mai, ha confessato di sentirsi davvero felice solo quando può sedersi e perdersi nel disegno.
Ma non è solo il suo genio, è anche il suo perfezionismo ad averlo reso unico nel panorama dei designer di calzature. E’ lui che disegna il bozzetto, è lui che crea il prototipo, ne cuce la pelle, ne modella il tacco, e che visita i laboratori italiani per istruire e seguire gli artigiani che realizzano i suoi modelli. “Ci sono tre cose importanti – afferma Blahnik. Prima di tutto la qualità dei materiali, poi la parte tecnica, e infine i punti e le cuciture, ovvero come vengono assemblati i vari pezzi.”
E se ciò si riflette in un costo al consumatore che non è proprio alla portata di tutte, Blahnik afferma: “Non mi piacciono le cose costose. E vorrei che le mie scarpe venissero considerate prima di tutto come oggetti belli, non come cose costose”.
Come dargli torto: le sue scarpe accarezzano il piede femminile, lo coccolano con colori, materiali, decorazioni che lo esaltano, ne fanno il fulcro dello stile di una donna, ed esaltano la sua personalità. Sono scarpe che evocano desiderio. E i desideri, talvolta, non hanno prezzo.