Le mamme e i papà che fanno il tifo dalle tribune per i loro figli e figlie sono ormai un’istituzione sui campi delle giovanili. Fischietti alla mano, cartelloni, entusiasmo e urla. Un’esplosione di passione per incitare la squadra dei pargoli tra goal, canestri o punti, che però si spegne all’improvviso quando l’eroe è relegato in panchina. E dal silenzio si passa alla depressione quando lì, seduto, il campione di casa ci rimane per tutto il tempo. Attenzione però perché il “malcapitato” o la “sfortunata” spesso sono contenti di non essere buttati nella mischia, magari consapevoli del fatto che la panchina sia in quel momento una buona soluzione. Questo non aiuta però lo sfegatato genitore a superare il malessere in cui è piombato, anzi lo ingigantisce: non basta la frustrazione di un pargolo o di una figliola incapace e non in campo, ma pure inconsapevole e felice. Forse, però, hanno ragione loro ad essere sereni. Quelli seduti in panchina.
Premetto che non sto parlando della scelta di quell’allenatore (che ahimè esiste) che mette in campo solo i migliori e non ha nessuna intenzione di investire in chi fa fatica ed è più indietro, quello è un altro capitolo ed il protagonista è l’allenatore. I protagonisti invece del mio osservare sono i genitori che non accettano la visione dei propri figli in panchina, manco in quel ruolo ci fossero costretti loro. A questi genitori mi piacerebbe raccontare i fisiologici vantaggi di quello che in America si chiama ‘Bench-Warming’, che forse suona più esotico del nostro ‘riscaldare la panchina’.
I Bench-Warmers ascoltano le incitazioni, le critiche ai proprio compagni, senza purtroppo avere l’opportunità di mostrare le proprie carte. Ogni partita si preparano, riscaldano come gli altri, ma poi stanno per lo più a guardare. Sembrerebbe un’esperienza inutile e frustrante. Perché mai un ragazzino o una ragazzina dovrebbero investire tanto in qualcosa, senza averne un ricavo personale immediato?
L’arma segreta di cui dovrebbe beneficiare il nostro panchinaro, grazie allo stimolo dell’allenatore e al supporto del genitore si chiama passione. Far parte di una squadra ha anche questo significato, non dovrebbero esistere solo protagonisti in campo, ma compagni affiatati che sostengono gli amici dalla panchina e riserve pronte a intervenire nel momento del bisogno. Il periodo che si trascorre in panchina deve essere un investimento per imparare dal gioco dei propri compagni, per osservare meglio gli avversari, finché non si sarà pronti ad entrare.
D’altronde, quando guardiamo il derby del cuore a casa, siamo tutti ‘Bench-Warmer’ ed a fine partita commentiamo meglio di Bruno Pizzul. Stare in panchina è un momento di passaggio in cui si sviluppa l’apprendimento del gioco. Il bravo allenatore riconosce i ragazzi fuoriclasse che sono pronti subito ma anche chi necessita di più tempo e maggior incoraggiamento e probabilmente deve fare più spesso la riserva. Con tanta pazienza e osservazione il giovane ‘Bench-Warmer’ acquisirà una dote che si chiama resilienza e sarà pronto nel momento in cui la squadra sarà in crisi o quando il fuoriclasse avrà finito le sue cartucce.
Tutto questo sarà possibile con un bravo allenatore capace di motivare, ma soprattutto se il primo vero supporter del panchinaro, il genitore tifoso, continuerà a sostenerlo anche se in quel ruolo meno appagante.