Dai tre ai cinque anni per realizzare un film animato. Tempi lunghi di lavorazione. Una caratteristica che teoricamente dovrebbe essere favorevole all’impiego delle donne, secondo alcuni addetti al settore. Una più facile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dovrebbe, a detta di alcuni, rendere più appealing il settore per le donne. Eppure i numeri ci dicono altro.
Su 3.800 artisti del settore, fra autori e tecnici, a Los Angeles e dintorni, secondo il sindacato dell’industria Iatse, sono il 23% è donna. Una percentuale ritenuta assolutamente inadeguata dall’Associazione Women in Animation, che sta puntando a un settore che veda una presenza 50-50 entro il 2025. Anche perché a livello scolastico le nuove leve vedono una percentuale assolutamente inversa: in scuole come CalArts il 70% delle studentesse è donna. La presidente dell’associazione, Marge Dean, sottolinea però che spesso le donne vengono relegate a ruoli di producer o di assistente alla produzione e non trovano spazi poi per ricoprire ruoli “creativi”.
Alcuni esempi di team più equilibrati esistono già negli Stati Uniti, anche grazie al fatto che di recente la Walt Disney Animation è diventata sponsor dell’associazione Women in Animation, che nata nel 1995 conta sedi a Los Angeles, San Francisco, New York e fuori dagli Stati Uniti in India, Francia, Gran Bretagna e Irlanda. D’altra parte nel board di Disney siede Sheryl K. Sandberg, manager di Facebook famosa per il proprio impegno per la valorizzazione dei talenti femminili. Nel board dell’associazione siedono anche rappresentanti della DreamWorks Animation, Mattel e Nickelodeon.
E proprio DreamWorks è una delle società dell’industria che sta raggiungendo più rapidamente un equilibrio di genere: a livello di management la COO è Ann Daly, la chief accounting officer è Heather O’Connor e la responsabile del marketing a livello globale è Anne Globe. Le donne entrano anche nella realizzazione creativa dei film, come Jennifer Yuh Nelson, che nel 2011 ha avuto l’opportunità di dirigere Kung Fu Panda 2 (arrivato alla nomination all’Oscar dopo incassi per 655,7 milioni di dollari al botteghino), diventando così la prima regista di un film d’animazione di grande budget.
E in Italia? Women in Animation è stata presentata nel 2015 alla VIEW Conference di Torino. Chi sono le donne dell’animazione italiana? La mappa l’ha disegnata nel 2010 Matilde Tortora, docente di storia e critica del cinema, nel libro “Le donne nel cinema di animazione”. E per le nuove generazioni non mancano scuole per potersi formare alla professione: dal Centro sperimentale di Cinematografia di Torino allo Ied di Milano e Roma, dallla Big Rock di Roncade (Treviso) alla Rainbow Accademy di Roma.
Ma quanto vale il mercato nel nostro Paese: ottanta aziende con circa 3mila addetti e un fatturato annuo di oltre 100 milioni di euro. La dimensione del comparto dell’animazione in Italia, illustrato agli Stati generali del settore a Roma, promossi dalle associazioni Cartoon Italia e Asifa Italia in collaborazione con Anica. L’attività genera investimenti sul territorio nazionale per circa 70 milioni di euro. Ma i numeri potrebbero essere ben altri: in Italia il sistema televisivo italiano conta 22 canali per bambini e ragazzi, eppure solo l’11% della programmazione è di produzione italiana. Ci batte di gran lunga la Francia, la cui produzione nazionale occupa il 42% e quella italiana il 9% della programmazione per ragazzi.
Il principale partner di mercato è la Rai con un budget annuo di 15 milioni. Gli altri broadcaster ”sono praticamente inesistenti sul fronte produttivo, inclusi Disney Channel e Cartoon Network” si sottolinea nelle slide sul panorama italiano. La produzione di una serie o di un lungometraggio in animazione richiede circa tre anni. Durante questo periodo decine di artisti e tecnici, perlopiù giovani, vengono impiegati a tempo pieno in regime contributivo Enpals/Inps. Si producono serie tv e film che in alcuni casi sono arrivati in tutto il mondo, come per la serie e i film delle Winx, nate dalla matita di Iginio Straffi e oggi distribuite in 170 paesi. Un esempio che ci dice come si possa anche partire dall’Italia per conquistare mercati sofisticati come quello americano e quello giapponese.