L’ultimo secondo di un giullare

dario-fo-franca-rameUn secondo e rivedrò Franca. E’ solo questo il mio pensiero, altrimenti non sarei pronto, ho fatto di tutto per campare, perché a ridere, anche amaro, ci si prende gusto. È come una sfida a ramino, puoi vincere o perdere, ma quel che conta è la partita.

La mia partita è cominciata a Sangiano, il 24 marzo del 1926, “il paese delle meraviglie”, che se prosegui sulle sponde del Lago Maggiore e fino a Porto Valtravaglia e poi su, su, fino a Pino Tronzano arrivi al confine. Sono stati pescatori e contrabbandieri a farmi amare le storie, gente di fantasia, quella. E io ad ascoltare. E ascolta, ascolta, ecco che viene voglia a me di raccontare.

Ho desiderato con tutto me stesso di essere un giullare, perché il giullare porta il riso che è il più bel regalo che si possa fare, e non si fa ridere solo con le scemenze, anzi, a volte c’è proprio bisogno di ridere sulle cose più serie.

E io, il guitto, il giullare, il clown, il saltimbanco, il fabulatore, ho persino vinto il Nobel. Uh, che putiferio che si è scatenato quella volta, tra poeti e pensatori sublimi. Quel premio, il premio dei premi, l’ho festeggiato in autogrill, la vita li sa fare gli scherzi. E io li restituisco, visto che passo a miglior vita (sarà migliore per davvero?) nel giorno in cui lo stesso premio viene assegnato a Bob Dylan. Da un giullare a un menestrello.

Mi è toccato mettere il frac, quella sera, e lì sì che mi sentivo un pagliaccio. Mentre mi dicevano che venivo premiato perché “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, avevo dileggiato il potere restituendo dignità agli oppressi”, io stringevo la mano al re di Svezia e mi veniva da ridere pensando a quel re di cui avevo scritto e che l’amico Jannacci, andato via troppo prima di me, aveva cantato, “Ho visto un re, Sa l’ha vist cus’e`? Ha visto un re! Ah, beh; sì, beh.” E me l’immaginavo quel re di Svezia tutto impettito che piangeva tanto da bagnare anche il cavallo.

Sono giorni che so di essere vicino a questo momento, al mio ultimo secondo, ho sentito sgocciolare via tutti gli altri, come da un rubinetto chiuso male, ma non ho avuto la voglia, o forse solo la forza, di fermare lo stillicidio. Non temo la morte ma neanche la corteggio. Se hai campato bene è la giusta conclusione della vita. Il fatto è che noi villan sempre allegri bisogna stare, e io adesso cerco di star contento pensando a Franca. Non ho mai smesso di sentirla vicina, di parlarle, e anche lei mi parlava. Non penso che la rivedrò dopo che avrò chiuso gli occhi, ma una volta di là, spero di essere sorpreso. Che bello che sarebbe.

La mia partita si chiude a Milano, il 13 ottobre 20016. Vorrei raccontare ancora tanto, in quest’ultimo secondo, ma c’è una regola antica nel teatro. Quando hai concluso non c’è bisogno che tu dica altra parola, saluta e pensa che la gente, se l’hai accontentata nei sentimenti, nell’affetto e nel pensiero, ti sarà riconoscente.

Ciao.”