Il problema è noto ma non è famoso: la questione delle donne che lavorano in Italia è nei fatti un tema un po’ “sfigato”. Non ne parlano volentieri le donne che lo subiscono: preferirebbero essere uguali a tutti gli altri, oppure a quelle donne mitiche che invece “ce la fanno”, non hanno voglia di essere portavoce di quelle che invece no, non ce la fanno, o ce la fanno a stento e, come ha detto Beppe Severgnini, a prezzo di grandi sacrifici. Non ne parlano volentieri neanche le donne che in effetti “ce l’hanno fatta”: intanto hanno fatto una gran fatica e preferirebbero lasciarsi la faccenda alle spalle, e poi è stato provato che le donne che cercano di portare avanti le altre vengono penalizzate in termini di carriera.
E gli uomini – a cui Severgnini dà buona parte della colpa, ed è vero nella misura in cui il potere di cambiare le cose è ancora prevalentemente nelle loro mani – beh gli uomini si dividono tra quelli che sono causa attiva delle discriminazioni: quindi sono più o meno apertamente sessisti, mobbisti, psicologicamente violenti, prepotenti e supportati in tutto questo da una cultura aziendale che li tollera o addirittura spesso li appoggia; e quelli che non discriminano attivamente, ma anche per questo non si accorgono di quel che avviene attorno a loro, e quindi lo considerano un non problema – o comunque non un problema loro.
Quando un problema sociale così grande – e quello di cui stiamo parlando è un problema immenso, fosse anche solo perché ne mette insieme tre: un paese che non fa più figli; un paese in cui, nonostante le apparenze, le donne non partecipano alla vita socio economica; un paese che rivela nel suo modo di trattare le minoranze tutta la sua debolezza strutturale, la sua incapacità di evolvere – non è trendy e non provoca problemi immediatamente visibili – le donne che non lavorano non le trovi in strada a delinquere: semmai stanno a casa a occuparsi di anziani e bambini, e i bambini che non nascono per definizione non si vedono, per considerarli un problema bisognerebbe avere voglia di guardare oltre la durata di una legislatura – quello che succede è che si sa già tutto ma non si fa nulla.
Infatti quello che colpisce è che le informazioni le abbiamo tutte. Gli abusi sono sotto i nostri occhi. Gli effetti drammatici sulle persone, sull’economia e sulla società anche. Le soluzioni sono note: ne abbiamo di locali, abbiamo altri paesi europei a cui guardare, abbiamo tutta la conoscenza che serve per agire. Ma la questione non è in agenda: lo si capisce dal semplice fatto che “non ci sono soldi” per occuparsene. E siccome le tasse le paghiamo, e salate, i nostri soldi in realtà ci sono, è il senso di priorità e di urgenza che manca.
La condizione delle donne in Italia, definizione sintetica dei problemi illustrati sopra, non è un’emergenza. Forse può diventare tale grazie a un massiccio e convinto movimento dell’opinione pubblica? A un radicale ripensamento della cultura che oggi consente e tollera gli abusi? Al semplice fatto di parlarne molto di più, di indignarsi molto di più, e non solo per una campagna sbagliata? Ogni giorno: raccontare gli abusi, cercare le buone prassi, parlarne, parlarne, parlarne… e far diventare stigma sociale la semplice ignoranza, il velo di silenzio che oggi copre e protegge questo enorme problema.