Da Terni a Milano, da Milano a New York. Con una strategia che non si vede, ma ci deve essere. Perché se giovane donna a poco più di trent’anni hai aperto uno studio di architettura tuo nella Grande Mela e hai progettato e realizzato store e showroom per clienti del calibro di Moschino, Emilio Pucci, Roger Vivier, Max Mara, per citare qualche esempio tra i tanti del luxury, non si può parlare solo di caso. Anche se l’aggettivo che Deborah Mariotti utilizza più spesso per descrivere la sua storia è “fortunata”.
Deborah Mariotti, dopo il diploma si trasferisce a Milano da Terni per iscriversi alla Facoltà di Architettura del Politecnico. Dopo l’Erasmus a Madrid, inizia subito a lavorare in un piccolo studio di Milano. “E’ stata la mia fortuna, ho avuto tante responsabilità da subito”. Nel 2005 Deborah seguiva la realizzazione dei negozi di Emilio Pucci in tutto il mondo, dal Giappone, alla Russia e anche negli Stati Uniti. “A NY per caso ho conosciuto dei designer che avevano uno studio a Soho e che cercavano persone con esperienza di lavoro nell’ambito del retail di lusso per seguire il progetto dei negozi Tod’s a in città. Mi hanno fatto una proposta, sono tornata in Italia, mi sono presa un mese per decidere. Ho dato le dimissioni e sono partita”.
Qual è stato il fattore determinante per trasferirti? “Curiosità di provare una nuova esperienza e desiderio di vedere se un altro paese avrebbe offerto delle possibilità diverse a una donna. In quegli anni i clienti a Milano erano per la maggior parte uomini ed era più facile per un architetto uomo stringere relazioni. Adesso le cose sono cambiate, ci sono molte più donne CEO anche nel retail”. Dopo tre anni nello studio di Soho, Deborah riceve dal suo ex titolare la proposta di collaborare alla realizzazione del negozio di Moschino a New York.
E’ l’occasione per fare il grande salto e aprire il proprio studio a Dumbo, un quartiere di Brooklyn, lo studio è a un isolato dal famoso ponte. “Ho dovuto imparare a fare tutto, dalle pubbliche relazioni alla contabilità. Negli anni ho diversificato l’attività, dalle ristrutturazioni di townhouse e appartamenti, alle spa di lusso, alla realizzazione di un nuovo concept di ufficio per una startup. Negli Stati Uniti gli architetti sono molto specializzati, fanno i disegni e non vanno quasi mai in cantiere. Io ho l’approccio europeo per cui andare in cantiere e seguire tutte le fasi, dalla progettazione all’esecuzione, fa sempre parte del nostro lavoro. Molti dei miei clienti sono europei, proprio perché si riconoscono di più in questo modo di gestire il progetto”. Il segreto del tuo successo? “Buttarsi, si può sempre tornare indietro!”.
Difficoltà legate alla lingua o alla burocrazia? “Le vere difficoltà qui sono dovute alla diversa impostazione e organizzazione del lavoro, che per noi italiani non e’ facile cogliere subito, c’è una forma mentis molto diversa. La lingua non e’ un ostacolo, la maggior parte delle persone con cui si lavora non è nata negli USA. Per quanto riguarda il visto, mia madre è di New York e non ho dovuto farlo”. E almeno per questo aspetto la parola fortuna si può usare.