Vi siete mai domandati perché tanta aziende richiedono che le lettere di accompagnamento ai curriculum vitae siano scritte a mano? Spesso non si tratta di una formalità anacronistica nell’era di word, ma di una tappa integrante del percorso di selezione. Quel documento infatti viene analizzato da grafologi incaricati da quelle stesse aziende per definire alcuni tratti della personalità dei candidati, in funzione della posizione lavorativa per cui si propongono. E vi siete mai chiesti che cosa spinga a diventare professionisti della grafologia? In qualche caso, l’amore per i figli.
Candida Livatino è giornalista pubblicista e perito grafologo, specializzata in diverse aree, fra le quali l’analisi della scrittura e dei disegni dell’età evolutiva, le perizie grafologiche nelle vertenze giudiziarie e, appunto, la valutazione grafologica finalizzata alla selezione del personale. Ha pubblicato tre libri con Sperling&Kupfer, l’ultimo, recentissimo, è “Scrivere con il cuore”, collabora con diverse testate giornalistiche ed è un volto noto in alcune trasmissioni televisive. “Fin dalle elementari le maestre mi dicevano che la grafia di mio figlio Matteo era illeggibile”, racconta ad Alley Oop. “In prima media, a undici anni, l’insegnante gli chiedeva di scrivere in stampatello, perché se no, diceva, non si capiva niente. Scrive che sembra arabo, era il ritornello“. Matteo andava bene a scuola “ma io ho deciso di indagare. Mi sono rivolta a professionisti specializzati e ho scoperto che l’unico problema di mio figlio era che la mano rincorreva la mente, che però andava troppo veloce“.
Quel primo contatto con la grafologia ha illuminato un nuovo percorso professionale. “Lavoravo in una azienda americana che si occupa di ricerche di mercato. Dopo l’esperienza con Matteo ho deciso di tornare a studiare, mi sono iscritta a una scuola di grafologia e in cinque anni ho conseguito la specializzazione che mi ha consentito di lanciarmi in questa avventura professionale, la mia passione”. Candida Livatino ama ripetere che “la mano traccia il gesto, ma è l’anima che esprime la forma”, con le parole di Padre Girolamo Moretti, fondatore della grafologia scientifica. “I segni grafologici nascono da piccoli gesti che vengono dettati dall’inconscio e riflettono il carattere e lo stato d’animo di chi scrive.Un segno più o meno evidente, come i puntini sulle “i” marcati, l’arrotondamento delle vocali, la distanza tra una lettera e l’altra, la distanza tra una parola e l’altra, la pressione sul foglio, la sottolineatura sulla firma, possono dire molto della personalità”.
E Matteo? Matteo oggi ha trent’anni e a quel suo scrivere “in arabo” ha saputo dare un senso più letterale, laureandosi in Politica mediorientale. “Ha vissuto al Cairo un anno come giornalista free lance, adesso è tornato in Italia e lavora all’Istituto per gli studi di politica internazionale. Scrive meglio in arabo che in italiano”. Ma stavolta nessuno cercherà di correggerlo.