Muto.
Resto muto davanti allo schermo. Aspetto notizie che nessuno può darmi per telefono o iscritto, aspetto che sia la televisione ad annunciarle, che son notizie grosse e non possono non darle. Aspetto, fa caldo, e c’è uno che parla di niente. Ma non ho fretta, è tutto fatto, devo solo aspettare.
Parlo.
Io parlo, invece, perché in questa macchina non si può stare zitti. Apriamo il corteo, Croma blindata, il dottore nell’altra che ci viene dietro, guida lui, vuol sempre guidare, guarda la moglie, e parlano fitto. Come se fossero soli, non sotto scorta. Dopo tanti anni, non ci fanno neanche più caso.
Figli.
Ecco che entrano, tutti e quattro, li faccio sedere. “Che guardi, papà?” “Niente, picciotti, solo un po’ di tivvù”. “Ma questo programma fa pena” “Avete ragione.” Ma non cambio canale, resto sul Primo, ne parleranno tutti, ma voglio sentire il Tg1. Guardo l’orologio. La lancetta dei secondi. E’ quasi il momento. Silenzio assoluto.
Svincolo.
Ecco lo svincolo, fa un caldo d’inferno, è il 23 maggio ma sembra d’agosto. L’asfalto trema qua sulla A29, tremava anche sulla pista di Punta Raisi. Lo portiamo a Palermo, il dottore, e non manca molto. Mi viene da sospirare, e mi prendono in giro, con me che son Vito, ci son Rocco e Antonio. Davanti a noi c’è lo svincolo, dice: “Capaci”. Un secondo e lo imbocchiamo.
Edizione straordinaria.
Eccola che arriva. Parole feroci, è stato un bazooka. Scuoto la testa. “Minchiate. E’ stata una bomba, se no l’autostrada non la sventravano così, se no le macchine non volavano a centro metri da lì. U’ verru sa fare le cose.” U’ verru è Brusca, e io sono U’ curtu o solo Totò. Quelli che dovevano morire son tutti morti, il cornuto e la moglie. In più tre della scorta. Hanno scelto la parte sbagliata.
(Non) E’ finita.
Questo secondo non è mai passato. La lancetta è ancora ferma. Non c’è trasmissione che tenga, non esiste riabilitazione. In questa Italia sbagliata in cui si muore per dovere, non si può perdonare chi provoca il dolore. E nemmeno chi lo celebra.