La camicetta, la scritta augurale sul muro, perfino la frutta sulla torta (fragole e more): tutto in rosso e nero, come il logo dell’azienda che ha creato. Alessandrina Tamburini, presidente onorario e fondatrice del Colorificio San Marco di Marcon, Venezia (specializzata in sistemi vernicianti e prodotti di restauro) festeggia 95 anni pranzando nella mensa aziendale insieme a tutti i suoi collaboratori. Ancora attiva sul posto di lavoro, laureata in Scienze economiche e commerciali, per l’occasione ha scelto di istituire una borsa di studio in Chimica o Restauro: “Sono convinta che nel futuro sarà necessario puntare al ripristino e al restauro delle nostre favolose città e di manufatti artistici, sia per salvaguardarle dal degrado, sia per potenziare il turismo, che è una preziosa risorsa per il nostro Paese”. La stessa azienda ha supportato, in passato, importanti restauri nel territorio: l’organo della basilica di Santa Maria della Salute a Venezia, la Scala Massari nel complesso degli Artigianelli, la Cappella Zen nella Basilica di San Marco, il recupero delle Colonne Napoleoniche, dei Pennoni e delle Procuratie Vecchie di Piazza San Marconato.
Ora la borsa di studio, una iniziativa che guarda ai giovani: “Quando abbiamo avviato la nostra attività ci siamo trovati a gestire un mercato in evoluzione, dove la richiesta di innovazione era forte: ciò ci ha obbligato a mantenere aggiornati i nostri processi produttivi. Più difficile è affrontare la tendenza, sia in periodo di prosperità che di crisi, a resistere al cambiamento, a crogiolarsi nell’abitudine, nella quotidianità, a dire “ma io ho sempre fatto così”. Ecco perché mi piace colloquiare e conoscere i giovani: sono curiosi, aperti e propensi al cambiamento“.
Alessandrina nasce a Venezia nel 1921, da Pietro Tamburini ed Elisa Pejeroni. Il padre, classe 1890, ha una bottega – una mesticheria-drogheria – in Rio Terrà. Ha aperto anche una latteria, ma non vuole fare solo il commerciante. Così, nel 1927, mette in piedi una centrale di pastorizzazione a Carpenedo, in terraferma, a nord di Mestre. E’ la prima da quelle parti, e si attira presto l’ostilità degli allevatori della zona: nel giro di un paio d’anni deve chiudere con un fallimento. Pietro deve ripartire: ha esperienza, sa trattare con i clienti, decide di fare il rappresentante. Le pitture pronte non esistevano. Imbianchini e artigiani, come anche gli artisti, le ricavavano dai sacchi di colore. Così comincia a provvedere direttamente alle forniture. Avvia una ditta ‘per la compravendita di materie prime’ e stabilisce la sede in una villetta vicino alla stazione ferroviaria di Treviso.
A Venezia, intanto, Alessandrina è diventata grande. Nel 1940 si iscrive all’università, fa qualche lavoretto per le Generali. Ma c’è la guerra: nel 1944, i bombardamenti alleati colpiscono la ditta del padre, e ricomincia il pellegrinaggio prima a Zero Branco, poi a Mogliano Veneto. Nel giro di un paio d’anni, Alessandrina è coinvolta anche in ditta. E pian piano cresce anche la sua importanza diventando una figura centrale in azienda: quella di una donna imprenditrice e volitiva del tutto insolita per i tempi. Tanto che, il 14 maggio 1962, decide di creare una nuova azienda accanto alla Tamburini: il Colorificio San Marco (la due sigle andranno avanti assieme fino al 1970). A Mogliano scarseggia l’energia necessaria agli impianti che generano i solventi. Allora va a Marcon, in via Alta; nel giugno 1965, qui apre il primo impianto.
Oggi il presidente è Federico, figlio di Alessandrina, in azienda dagli anni ’70, e nella squadra ci sono anche i tre nipoti. Alessandrina ricorda che, prima ancora che imprenditrice, è stata insegnante: “Da questa esperienza ho capito quanto possa dare il contatto con i giovani”, racconta. Dal padre Pietro, invece, ha preso “alcuni concetti semplici e chiari: innanzitutto che quando c’è lavoro bisogna lavorare. Mi ha sempre spronato a essere curiosa, e a riflettere sulle novità: se non lo si fa, si rischia di fermarsi”.
L’azienda è per Alessandrina un gioco di squadra: “Sono convinta che sia fondamentale coinvolgere il più possibile i collaboratori, affinché, insieme con il titolare, si impegnino a raggiungere gli obiettivi, condividendo successi e insuccessi. Ho avuto collaboratori con i quali ho lavorato per trenta, quarant’anni, continuando a dare loro del “lei”; sono stata abituata così, una volta era una formalità in uso. Eppure ci si aiutava, ci si consultava”.