Mondiali calcio 2018: l’Italia che si è qualificata

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“Non tutto il male viene per nuocere, ai mondiali in Messico l’anno prossimo ci andremo noi”.

La voce scanzonata che mi parla al telefono è quella di Francesco Messori, classe ‘98, capitano della squadra amputati del CSI (centro sportivo italiano). D’altronde Francesco ha le idee chiare, quella squadra l’ha fortemente voluta e con il quinto posto guadagnato un mese fa ad Istanbul, “l’anno prossimo si va in Messico e si combatte contro le altre 24 squadre”, afferma sicuro.

Per uno nato senza la gamba destra arrivare ai Mondiali sembra quasi una storia surreale. In verità la risposta Francesco la dà girandosi di spalle, sulla nuca infatti si legge questo tatuaggio:

It’s only one leg less

Only, solo.
L’assenza di una gamba non gli ha infatti impedito, abbandonata la protesi per lui scomoda, di buttarsi e farsi strada armato di stampelle nel calcio, il suo sport preferito. Nel 2011 grazie all’allora presidente del CSI Massimo Achini è stato tesserato e ha giocato in un torneo per normodotati dimostrando che la sua diversità poteva essere un valore aggiunto per la squadra.

Il suo sogno era tuttavia di giocare con persone amputate. In Turchia, Inghilterra, Polonia già esistevano dei campionati del genere. “Ho deciso – racconta – di sfruttare le potenzialità di Facebook e da lì ho lanciato un appello per creare una squadra di giocatori senza una gamba”.
L’ 8 dicembre 2012 grazie ai suoi sforzi ed alla sua determinazione CSI ufficializza la nazionale che debutta il 27 aprile 2014 ad Annecy contro la Francia.
Nel 2014 partecipano ai primi mondiali posizionandosi noni su ventiquattro.

La nazionale azzurra capitanata da Francesco oggi conta venti giocatori che provengono da varie regioni di Italia, è inserita nella World Amputee Football Federation, seguita da UEFA e FIFA.

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L’obiettivo attuale della squadra è essere integrata come disciplina paralimpica.
“É uno sport a tutti gli effetti – spiega Francesco – con delle regole ben precise definite da WAFF. Si gioca A7 in un campo 60 x 40, non esiste fuorigioco e si può giocare sono con le stampelle, le protesi non sono ammesse. Chi è in campo deve avere un arto inferiore amputato ed i portieri devono invece avere un braccio amputato e non possono uscire dalla propria area”. Insomma come mi dice lui stesso, “il requisito è ‘essere diversi’, perlomeno agli occhi di chi li guarda”. Eppure lui è nato così.

Francesco ha ben presente che chi dopo un incidente si ritrova senza un arto, può facilmente cadere nella disperazione pensando che la propria vita sia finita. Per questo motivo è orgoglioso della sua squadra che “ha dimostrato il contrario. I giocatori hanno potuto vivere una seconda vita. Per tutti noi della squadra, lo sport è fonte di eliminazione dei pregiudizi”.

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Questo calcio è spettacolare, grazie alle stampelle i giocatori fanno delle vere e proprie acrobazione, prepariamoci a mangiare pop corn sul divano ed a tifare l’Italia ai mondiali 2018.