Autismo: viaggio nell’Ultrablu, dove i ragazzi neurodivergenti coltivano l’arte

C’è un luogo magico a Roma che si chiama Ultrablu. Non solo una casa editrice, ma anche un atelier, uno spazio creativo con libreria, sala da tè e un’area con grandi tavoli, attrezzature e materiali a disposizione di chi vuole cimentarsi con la pittura e le arti figurative in genere. Con una vocazione particolare: è aperto in special modo per i ragazzi e le ragazze con neurodivergenze che mostrano propensioni artistiche e che là possono trovare assistenza e tutto ciò che serve per esprimere il loro talento.

Dentro Ultrablu, dalla stesura delle tavole fino all’impaginazione, è nato Reflection”, fumetto di Dario Francorsi pubblicato a novembre 2024.  Sua mamma, Mariangela Robulotta, è una delle promotrici di questo spazio, insieme ad altre madri di ragazzi neurodivergenti e a Virgilio Mollicone, professore in un liceo artistico romano.

Mariangela, tu sei la mamma di Diego. Parlaci di lui, di voi.
Diego è un ragazzo straordinario, con una sensibilità e una visione del mondo che spesso mi sorprendono e mi insegnano moltissimo. Essere sua madre è un viaggio fatto di sfide e grandi scoperte. Ha diciotto anni, sta attraversando una fase complessa, come tutti gli adolescenti, ma con la particolarità della sua neurodivergenza, che rende ogni esperienza unica. Il nostro rapporto è basato sul dialogo, anche quando non è verbale, e sulla fiducia. Cerco di essere per lui un punto di riferimento stabile, ma imparo ogni giorno a rispettare i suoi tempi e i suoi spazi. Diego mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi diversi, a vedere la bellezza nei dettagli e ad apprezzare le cose che spesso sfuggono a molti.

Nella vostra mission si legge: «Ultrablu promuove attività artistiche e culturali generate dalla (neuro)diversità, intesa come risorsa naturale, relazionale e specifica dell’essere umano». Ci puoi spiegare cosa significa, in concreto, neurodiversità?
La neurodiversità è l’idea che le differenze neurologiche, come l’autismo o l’Adhd, non siano deficit, ma varianti naturali del funzionamento umano. Significa riconoscere che ogni persona ha un modo unico di pensare, percepire e interagire con il mondo, e che queste differenze possono essere risorse preziose per la società. Nel nostro caso, la neurodivergenza diventa una fonte di creatività e originalità, che si esprime attraverso l’arte e i progetti che realizziamo nell’atelier. Riteniamo che sia una risorsa importante e ci impegniamo affinché questo messaggio possa fondersi nella collettività, contribuendo a una maggiore comprensione e valorizzazione delle differenze.

Come è nata Ultrablu? Qual è l’idea di base dalla quale è iniziata la vostra storia?
Ultrablu è nata dall’intuizione di Virgilio Mollicone, attuale presidente e professore al liceo artistico di via di Ripetta, che si è accorto del talento e delle capacità artistiche di alcuni suoi studenti neurodivergenti. Insieme a una mamma di uno degli artisti, che oggi è ancora parte del nostro progetto, ha dato vita a Ultrablu. L’idea di base era quella di creare uno spazio in cui la neurodiversità fosse spostata da un concetto puramente medicalizzato a una risorsa. Ogni artista nell’atelier ha la possibilità di esprimersi secondo le proprie predilezioni, le sue predisposizioni e ciò che più gli piace. L’intento principale è permettere a ogni individuo di vivere pienamente con la propria mente, valorizzando la propria unicità e contribuendo a un dialogo collettivo basato sulla coesistenza e sul rispetto delle differenze.

Da quanto tempo siete attive sul territorio?
Ultrablu è nata nel 2017, e negli ultimi anni ci siamo trasferiti nella nostra sede attuale, in Piazza Americo Capponi numero 7 a Roma. Questo spazio, più grande e funzionale, ci permette di accogliere un numero maggiore di artisti e di ampliare la nostra comunità, che non è composta solo dalle mamme degli artisti neurodivergenti, ma è in continua crescita: è formata dagli stessi artisti, dai loro genitori, da giovani che desiderano collaborare al progetto, da artisti neurotipici, storici dell’arte, insegnanti di sostegno e chiunque abbia un interesse verso la neurodiversità. Per noi è fondamentale non relegare il tema dell’autismo ai soli caregiver. Vogliamo far comprendere che la neurodiversità è un valore sociale che deve coinvolgere tutti, perché arricchisce la collettività e apre nuove prospettive su come vivere e lavorare insieme.

Perché secondo te si sono mosse le donne, le mamme, per portare avanti il progetto?
Ultrablu nasce dall’idea di una mamma e di un professore di liceo, quindi già dalla sua origine porta con sé una particolarità significativa. Sicuramente le mamme, come in tante cose, rappresentano un motore fondamentale, proprio per la loro vicinanza e la loro sensibilità nei confronti dei figli. Tuttavia, ciò che rende Ultrablu davvero speciale è che, pur riconoscendo l’importanza della partecipazione delle mamme, c’è qualcosa che va oltre. Noi stesse mamme stimoliamo costantemente l’apertura di Ultrablu verso una dimensione più ampia, che superi l’ambito strettamente familiare. L’obiettivo è che Ultrablu diventi un progetto che coinvolga tutta la società, portando il messaggio che la neurodiversità è un valore che arricchisce tutti, non solo chi vive queste esperienze direttamente.

Perché avete scelto di mettere a disposizione uno spazio per i ragazzi e le ragazze con neurodiversità e delle loro famiglie?
Il nostro è un luogo in cui vogliamo far conoscere le qualità e il valore delle persone neurodivergenti. Nel caso specifico di Ultrablu, parliamo di artisti e della loro arte. L’obiettivo è offrire loro una qualità di vita che passi anche attraverso il lavoro, perché senza lavoro non c’è dignità e non può esserci vera parità. Proprio per questo, Ultrablu non è solo un atelier dove si creano, si espongono e si vendono opere, ma anche una casa editrice che stampa i libri e i fumetti degli artisti. Un esempio è il fumetto di Diego, che rappresenta perfettamente questa missione: dare spazio e voce ai talenti dei nostri artisti, valorizzandoli in ogni aspetto del loro percorso.

Quanto è difficile coordinare una normale routine quotidiana (lavoro, casa, figli, tempo libero per sé) con un figlio autistico? Come fate ad essere sempre presenti in atelier?
Prima di tutto, ci teniamo moltissimo a chiarire un punto importante: non usiamo mai l’espressione “affetti da autismo”, perché l’autismo non si ha, autistici si è. L’autismo è una caratteristica che fa parte dell’identità di una persona. È fondamentale che questo messaggio passi, soprattutto perché sono le persone autistiche stesse a richiederlo. Detto questo, è innegabile che l’impegno sia enorme. Il futuro di figli autistici, ancora oggi, è qualcosa che richiede un lavoro costante, perché la loro felicità e realizzazione sono spesso più difficili da raggiungere rispetto a quella di ragazzi neurotipici. Noi, però, ce la mettiamo tutta, proprio come farebbe qualunque mamma, per fare in modo che trovino la loro strada, il loro spazio e la loro serenità. Questo impegno è il cuore del nostro lavoro, in atelier e nella vita.

Ci racconti com’è nata l’idea di Reflection, come è stato realizzato?
“Reflection” nasce dal personale bagaglio di esperienze e suggestioni di Diego, che si riflette nella sua arte in modo autentico e immediato. Diego lavora come una spugna che assorbe e rilascia immagini e pensieri sotto forma di vignette, eliminando ogni tipo di mediazione tipica di altri artisti. Questa spontaneità è la forza dell’opera, che rigetta la realtà in uno stato di lucida inconsapevolezza. Il fumetto è una sorta di specchio che riflette la realtà contemporanea attraverso gli occhi neurodivergenti di Diego, permettendoci di osservare temi quotidiani come la guerra, la politica o la pubblicità in modo fresco e sorprendentemente divertente. “Reflection” è ingenuamente intimo, inquietantemente veritiero e offre una narrazione visiva unica, priva del filtro della mediazione tradizionale.

Lascia un messaggio a tutti i genitori che hanno il sospetto o hanno scoperto da poco di avere un figlio o una figlia neurodivergenti.
I tempi sono cambiati, e oggi abbiamo una conoscenza e una consapevolezza dell’autismo molto diverse rispetto a qualche anno fa. Questo può aiutare i genitori a vedere la diagnosi non più come una sentenza di disperazione o infelicità, ma come un punto di partenza per comprendere meglio il proprio figlio. È importante ricordare che lo spettro autistico è vastissimo, e non ci sono due persone autistiche uguali. Il mio consiglio ai genitori è di non cercare di cambiare o snaturare i propri figli, ma di accettare e valorizzare la loro diversità. Collaborate con loro e con i professionisti per aiutarli a sviluppare la loro personalità, i loro talenti e per trovare il loro posto nel mondo. Inoltre, è fondamentale che ogni genitore si impegni a partecipare al cambiamento del concetto di autismo. Dobbiamo essere tutti promotori di una visione dell’autismo come diversità e valore, non come malattia. Se riusciamo a cambiare l’idea di accettazione sociale, possiamo rendere la vita dei nostri figli molto più semplice, permettendo loro di vivere con dignità e serenità all’interno della società.

Calzano a pennello le parole di un’altra mamma di una ragazzina autistica, Roberta Salvaderi, che intervistata da Elena Delfino, ha detto: «La vera sfida è passare dal concetto di inclusione a quello di convivenza». È ciò che accade, ogni giorno, in Ultrablu.

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