Università, la corsa a ostacoli della carriera accademica delle donne

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Nei diversi ruoli ricoperti in ambito accademico le donne in Italia sono sotto rappresentate rispetto agli uomini. All’aumentare del livello di carriera, la percentuale femminile cala. I dati parlano chiaro: in Italia abbiamo 12.303 professori ordinari e 2.952 professoresse ordinarie. I professori associati sono invece 19.676 mentre le colleghe 7.575. È l’effetto del cosiddetto Glass door index, un indice che quantifica l’asimmetria di genere nell’accesso alle posizioni di ruolo nel mondo accademico messo a punto da Ilenia Picardi, ricercatrice di sociologia generale e docente all’Università degli studi di Napoli Federico II. Equivalente al Glass ceiling index, dà una misura delle difficoltà per le donne nel raggiungere le pari opportunità di accesso alla carriera accademica e di ricerca.

L’accesso alla carriera, varcando questa ‘porta di cristallo’, nel modo universitario avviene sempre più tardi e si sovrappone con la costruzione di una famiglia”, a dare una prima spiegazione alle disparità è Fiammetta Costa, ricercatrice del dipartimento di Design e presidente del comitato unico di garanzia del Politecnico di Milano. “A erodere maggiormente le opportunità per le donne nel mondo dell’università è proprio la gestione della famiglia e dei figli. Si parla infatti della cosiddetta ‘child penalty’ e la situazione con la pandemia è andata ad aggravarsi”.

Proprio l’università milanese a dicembre ha ospitato il convegno: “Smart Academia. Valutazione, lavoro, benessere ed equità nell’università che cambia”, organizzato dalla Conferenza Nazionale degli Organismi di Parità delle Università italiane con il Cug del Polimi. L’incontro ha messo al centro del dibattito gli ostacoli che le donne incontrano nei percorsi di carriera e le proposte per superarli. Ha così consentito di analizzare il ruolo degli organismi di parità delle università italiane rispetto alle sfide future e al ripensamento sistematico delle policy e dei modelli culturali dominanti al fine di promuovere un superamento delle diseguaglianze.

Quali svantaggi?

Ciò che è emerso nel corso del convegno, al quale hanno preso parte oltre 300 persone e rappresentanti istituzionali nel panorama universitario e delle pari opportunità (tra cui l’ex ministra Elena Bonetti), è che senza significativi cambiamenti nelle procedure di concorso e nei criteri di valutazione, lo svantaggio per le donne nelle carriere accademiche non si colmerà prima di parecchi decenni. Anzi, è destinato ad aggravarsi.

La due giorni, quindi, si è chiusa con l’appoggio di tutti i partecipanti al documento “La dimensione di genere nelle carriere accademiche e di ricerca: alcune proposte verso l’inclusività” che verrà distribuito agli interlocutori istituzionali. Il documento contiene un’analisi della situazione attuale e fa delle proposte di intervento su cinque aree. Si va dalla equa rappresentanza a una nuova modalità di valutazione, dalle politiche di conciliazione alla disponibilità di dati che consentano di monitorare i cambiamenti.

Sul tema delle procedure di concorso e di valutazione Costa spiega ad Alley Oop: “innanzitutto nelle commissioni di valutazione è necessario che ci sia sempre una presenza equilibrata tra uomini e donne. Mentre nei criteri da tenere in considerazione per le valutazioni bisognerebbe considerare i periodi di maternità, che comportano un’attività più ridotta, in modo un po’ più ampio”.

Senza poi contare che ci sono altri fattori che influiscono nei giudizi. Ad esempio si potrebbero valutare meglio i progetti di ricerca portati avanti da team equilibrati. “Tra i criteri di valutazione che permettono il finanziamento dei progetti di ricerca c’è il numero di giovani e questo incentiva la loro partecipazione. Similmente se tra questi criteri fosse inserita anche la presenza femminile nel team, le donne potrebbero partecipare a più progetti. Fare una ricerca più approfondita, avere più pubblicazioni e, al momento dei concorsi, presentarsi con più titoli per potere procedere nella carriera accademica” sottolinea Costa.

In tutti gli spazi professionali, università comprese, le donne laureate, nonostante siano la maggioranza, hanno meno probabilità degli uomini di fare carriera. Questo è il momento di agire, chiedono le donne italiane del mondo accademico anche perché a fermare un seppur lento percorso verso la parità ci ha pensato il Covid-19. “La pandemia ha arrestato il leggerissimo trend positivo a cui stavamo assistendo” spiega la ricercatrice che aggiunge: “le restrizioni per contenere i contagi hanno provocato la chiusura di molte scuole e i lavori di gestione familiare, che già prima erano appannaggio soprattutto femminile, sono cresciuti. Questo pone ulteriore difficoltà alle donne nel passaggio da posizioni temporanee a posizioni stabili e nei conseguenti avanzamenti di ruolo”.

I dati del mondo accademico

Stando all’ultimo Bilancio di genere, al Politecnico di Milano la quota di professoresse ordinarie è aumentata nel tempo (con lievi oscillazioni tra i diversi anni) fino a raggiungere nel 2019 il 23,3% del totale delle docenti. Una percentuale in linea con le statistiche del Miur sulla situazione nazionale. Il ministero rileva infatti una percentuale di donne nel ruolo di I Fascia pari al 24% come media nazionale su tutti i settori, che scende al 20% se si considerano soltanto le materie Stem.

Una disuguaglianza che conferma anche Costa ma che ha origini lontane. “Nelle hard science ci sono fin da subito, all’ingresso in università, meno donne, quindi ancora minori sono le chance di vederne una in ruoli senior o di potere. Ma è già tardi per agire in questo caso, bisognerebbe lavorare per scardinare il pregiudizio per cui bambine e ragazze siano poco inclini alle discipline scientifiche”.

L’augurio per il futuro è che sempre più i colleghi uomini prendano maggiormente in carico questo problema di disuguaglianza vedendo la partecipazione delle donne nella carriera e nella ricerca universitaria come una opportunità”, conclude la docente.

  • Maria Lo Re |

    Le donne hanno sempre dovuto lottare contro i pregiudizi maschili e nepotistici dei baroni universitari, pur essendo spesso più impegnate nello studio e più disponibili a rinnovarsi nella didattica e nella ricerca.

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