Le quote di genere fra l’iter in Parlamento e gli statuti delle società quotate

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L’ultima tornata di rinnovi con le quote di genere previste dalla legge 120 del 2011 sta per iniziare. L’obbligatorietà di un terzo dei cda e dei collegi sindacali delle società quotate e controllate pubbliche riservato al genere meno rappresentato arriverà ad esaurimento entro il 2022, ma in Parlamento è già stata presentata una proposta di legge per la “allungare” l’obbligo per altri tre mandati.

La proposta, a prima firma di Cristina Rossello (FI), è stata assegnata alla VI Commissione Finanze il 7 marzo scorso. La modifica è semplice: le quote di genere avrebbero validità non più per 3 mandati, ma per 6 nel complesso. Gli studi che dimostrano gli effetti positivi della presenza di donne negli organi societari non mancano, non ultimo quello dell’Università Bocconi e Consob di fine dello scorso anno. Lo studio ha evidenziato che “quando la percentuale di donne supera un determinato threhold, che varia tra il 17% e il 20% del board, le stime evidenziano un effetto positivo e significativo su tutte le misure di performance utilizzate”. Nel dettaglio i parametri presi in esame sono ROA, ROE, ROIC e ROS.

Proprio per le evidenze degli effetti positivi della legge cosiddetta Golfo-Mosca, la proposta di allungare la durata dell’obbligo delle quote di genere di altri tre mandati ha raccolto, così come in occasione della legge del 2011, sostegni trasversali. Fra i firmatari compaiono anche Graziano Del Rio e Pier Carlo Padoan (Pd), Mara Carfagna e Deborah Bergamini (FI), Laura Boldrini, Emanuela Rossini,Giuseppina Occhionero(Leu).

Nel frattempo anche le aziende stanno facendo la loro parte. Dopo Enel, infatti, anche Leonardo, in occasione della prossima assemblea degli azionisti di aprile, dovrebbe inserire le quote nello statuto. Politica e società per una volta vanno di pari passo. E nella stessa direzione si è mossa anche Borsa Italiana, che ha già inserito la raccomandazione nel codice di autodisciplina delle società quotate.

Un movimento di concerto, quindi, che punta a far rimanere l’Italia fra le best practise in Europa con una percentuale di donne nei cda oltre quota 30% secondo gli ultimi dati. In un contesto internazionale, che per altro, si sta muovendo in questa direzione. Anche negli Stati Uniti, dove nell’autunno scorso lo Stato della California ha approvato una legge che impone alle società quotate con headquarter in California di avere almeno una rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione entro il 2019. Per la prima volta siamo in anticipo rispetto agli States di quasi una decina d’anni.