Alveare di Roma, storia di 4 donne (e di tutte noi) battute dal sistema

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Sto per scrivere un articolo inutile (e voi state per leggere un articolo inutile). Si tratta solo dell’ennesima iniziativa che chiude, dell’ennesima esperienza persa per ignavia politica, dell’ennesimo flop.

La storia.
Quattro donne, quattro combattenti senza parenti influenti, senza patrimoni né reti di potere, nel 2014 fondano a Roma, in un quartiere periferico da molti considerato bruttino, uno spazio dedicato alle madri che lavorano. Lo pensano in modo diverso: mettono insieme un coworking e un’area “baby”, in modo molto pratico immaginano un luogo in cui le donne possano ripartire insieme senza essere obbligate a scegliere tra maternità e lavoro, aggregano risorse, idee, iniziative, ma solo dopo aver rimesso a nuovo degli spazi vecchi e in disuso concessi dal Comune di Roma.

Chi ha avviato un’impresa, anche no profit, sa quanta fatica si faccia. Se poi l’impresa è pure “innovativa”, la fatica raddoppia, perché il sistema non prevedeva nulla di simile a quella soluzione, e quindi bandi, finanziamenti, risorse pubbliche non sono mai “a misura”. Ciononostante, il progetto vince premi e riconoscimenti in Italia e in Europa, coinvolge migliaia di persone, rimette in campo centinaia di madri, dà spazio e cura a loro e ai loro bambini, si fa aggregatore di risorse diverse, sperimentatore di nuovi formati e strumenti per mettere insieme vita e lavoro: il progetto mette radici nel quartiere e genera frutti. Finché una laconica nota del Comune di Roma informa le nostre eroine che è ora di chiudere, e che per farlo hanno tre mesi di tempo.

Non è dato sapere perché: ai cattivi delle storie non viene mai chiesto perché siano cattivi.

Non c’è modo di dire di no: legalmente hanno “ragione loro”, pur senza ragione. Tutti i personaggi di questa storia sopravviveranno, mal ne incorrerà soprattutto alle persone che in futuro avrebbero potuto, qui, trovare un luogo da cui ripartire. Persone che ancora non esistono, e che quindi non esisteranno mai.

Tra dodici mesi potremo affacciarci in quella strada di Centocelle e vedere che cosa ci sarà nel cortile che oggi è un prato con lo scivolo e la giostra colorata: forse a stento ci ricorderemo della possibilità data e poi sottratta, della storia interrotta.

alveare-di-centocelle-e1553078107301Cari politici, per credere ancora in voi dovrei pensare che un articolo come questo non sia inutile. Tra le righe del curriculum vitae dell’Alveare di Roma, che chiuderà il prossimo 31 marzo, leggo che ha vinto i bandi Fraternamente e Innovazione sostantivo femminile della Regione Lazio, e allora chiedo al neo-eletto segretario del PD Nicola Zingaretti: che cosa state facendo?

Parlate di evoluzione, di innovazione, di coraggio, di cambiamento, di lavoro femminile, di futuro, e poi lasciate che noi si muoia così, di inerzia e di ignavia, insieme ai nostri sogni? Le quattro combattenti di questa storia e tutte le persone che con loro hanno costruito l’impossibile sotto il tetto malmesso della nostra Capitale: a loro che cosa volete dire, come e quando sarà possibile chiedergli di rimettersi in gioco, di ricominciare? E perché, poi, se niente vale?