Cari genitori, ecco il lavoro che aspetta i vostri figli

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Di narrativa per bambini straripano le librerie. Di saggi rivolti ai genitori per crescere figli equilibrati in un’epoca in cui, spesso, ad avere difficoltà d’equilibrio sono proprio i genitori, pure. Ma di testi dedicati a raccontare con un linguaggio semplice, il mondo che verrà, quello in cui proprio loro – i bambini di oggi – vivranno e lavoreranno, ce ne sono molti meno, almeno in Italia.

E’ questo il valore del diario trasformato in libro – Il futuro del lavoro spiegato a mia figlia – da un papà non qualunque, Pino Mercuri, direttore delle risorse umane di Microsoft Italia. L’idea nasce proprio da una curiosità della più grande dei suoi tre figli, una bimba di 10 anni: “Ma il lavoro che farò io sarà molto diverso da quello che fai tu?”. Spesso ci dimentichiamo che i nostri figli ci osservano e si fanno un sacco di domande, alle quali non sempre diamo la necessaria attenzione. Eppure è proprio la non conoscenza che genera incertezza, ansia e paura, soprattutto in un momento storico in cui anche i giovanissimi sono esposti a slogan e notizie che tendono a drammatizzare più che a informare davvero.

Questo libro – primo di una collana di Licosia “Il lavoro è cambiato. Cambiamo le regole”, diretta da Francesco Rotondi – cerca di fare chiarezza, di dare risposte e soprattutto di infondere fiducia. Parlando di tutto ciò che c’è di nuovo: dai robot, alle start-up, al blockchain, al quantum computing, alla realtà virtuale, sino al nuovo modo di vivere i luoghi di lavoro, la pausa pranzo, le trasferte e la retribuzione. Il punto è che non abbiamo ancora uno scenario chiaro di tutte le nuove professioni che fioriranno, ma siamo ragionevolmente sicuri che il lavoro di domani si snoderà tra “immaginazione e razionalità” come scrive Marco Bentivogli, illuminato segretario generale della Fim-Cisl, nell’introduzione.

Ciò che vuol dire è che accanto alle competenze tecniche e computazionali, serviranno competenze umanistiche e filosofiche per fare la differenza in un’economia sempre più basata sulla conoscenza, frutto della collaborazione tra intelligenza umana e artificiale. Sarà più ricercato un approccio creativo al lavoro e più valorizzato il talento – qualsiasi forma esso possa prendere -, la capacità di collaborare e relazionarsi sia all’interno sia all’esterno delle organizzazioni, costruendo network di valore. Insomma, è una bella prospettiva, se solo si pensa a cosa avrebbe dovuto rispondere a sua figlia un direttore del personale di un secolo, ma anche solo qualche decina di anni fa!

I cambiamenti però, vanno gestiti. L’ecosistema digitale in cui già viviamo e che diventerà sempre più il nostro mondo, senza distinzioni tra reale e virtuale, va compreso e governato per  i migliori benefici e ridurre gli inevitabili pericoli che porta qualsiasi innovazione epocale. In questa trasformazione, le aziende – veri agenti sociali di cambiamento – svolgono un ruolo fondamentale nel creare nuove condizioni organizzative più funzionali al business. «Tutto si gioca sull’allineare il proposito delle persone a quello dell’azienda – commenta l’autore -. L’HR director dovrà farsi interprete empatico dei lavoratori per colmare il gap con l’azienda, cosa che tra l’altro le macchine non potranno fare. E, poi, aiutare i leader a disegnare scenari di business sostenibili a 5/10 anni, facendo delle competenze l’elemento competitivo».

Ecco la prima risposta alla domanda della figlia, ma tante altre indicazioni utili arrivano da una serie di contributor tutt’altro che banali. Da Silvia Candiani, ceo di Microsoft Italia, a Roberta Cocco, Assessore alla Trasformazione digitale e Servizi civici del Comune di Milano, a Marianna Poletti, founder della start up Justknock, a Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione aziendale presso l’Università degli Studi di Milano sino a Francesca Parviero, digital HR & personal branding Strategist, solo per citarne alcuni.

Tra le notazioni più interessanti la necessità di agire sull’education per aiutare i bambini a sviluppare una consapevolezza di sé e dei loro talenti, su cui costruire un’autostima e un’attitudine a progettare il loro percorso, ad avere sin dalla giovane età padronanza delle proprie scelte di crescita. Con una particolare attenzione alle bambine, che più spesso rimangono vittima di stereotipi che le allontanano dall’esprimere le loro potenzialità. E, poi, abituarli al cambiamento personale e all’apprendimento continuo come mindset. In sintesi – grazie alla tecnologia e alla digitalizzazione – il lavoro avrà sempre più una dimensione generativa e, quindi, la cosa migliore è prepararsi a coltivare la propria libertà – che significa anche responsabilizzazione – e la propria curiosità.

 

Naturalmente – ma non è per nulla ovvio – tutti, a partire da Mercuri, concordano sull’importanza di educare i bambini a risconoscere il valore dell’impegno, del tempo dedicato allo studio e alla conoscenza del mondo, per produrre risultati, come Carol Dweek insegna bene nel libro Mindset. E ricordiamoci – noi adulti – che più delle parole, è il nostro esempio, il nostro comportamento quotidiano, a formare i nostri figli. Non è così?