Lavoro, più laureate che laureati tra i giovani occupati

laurea

Disaggregando i dati sull’occupazione per sesso, età e titolo di studio, si osserva che tra i giovani il numero delle laureate ha superato quello dei laureati fin dall’inizio del secolo, e soprattutto si nota che la differenza di genere continua a crescere nel tempo (Figura 1). Questo fenomeno si manifesta in tutti i paesi industrializzati, ma in Italia è più marcato rispetto agli altri membri dell’Unione europea (Figura 2).

Figura 1 – Occupati laureati in età 15-34 anni. V.A. in migliaia – per sesso – 1993-2017.

grafico-28-1-2019

Figura 2 – Tasso di femminilizzazione (F/MF%) degli occupati laureati in età 25-29 anni – 2017 –  UE28

grafico-2-28-1-2019

Prof, allora il gender gap nell’istruzione è un problema risolto!

No. Adesso lo svantaggio è del genere maschile, ma dal punto di vista sociale il problema è lo stesso di prima, quando era minoritario il genere femminile.

Prof, ma se le femmine sono più brave a scuola, è giusto che siano anche la maggioranza dei laureati.

Sì, è giusto. Ma poiché assumiamo che la distribuzione di intelligenza o abilità innata o capacità cognitiva sia uguale tra i generi (gender similarities hypothesis), resta da spiegare perché i maschi si laureano meno delle femmine. L’uguaglianza di genere nei percorsi formativi è la premessa necessaria perché donne e uomini possano avere le stesse opportunità di esprimere il proprio talento e fare carriera nel mercato del lavoro. Perché adesso gli esiti dei percorsi formativi sembrano non riflettere il potenziale cognitivo dei maschi come quello delle femmine?

Nel libro “The Rise of Women” si sottolinea che le differenze di genere non emergono tanto nei punteggi dei test, dove gli esiti sono piuttosto simili, quanto nei voti, cioè nelle valutazioni degli insegnanti, che riflettono l’abilità innata e le capacità organizzative e relazionali degli studenti, ma anche il condizionamento degli stereotipi. Gli autori segnalano, in particolare, che attualmente i ragazzi adottano più spesso delle ragazze modelli comportamentali per i quali la scuola e il successo negli studi sono considerati poco importanti per definire la propria identità di genere.

In un recente rapporto dell’OCSE (“The ABC of Gender Equality in Education”) si afferma che ancora non c’è un’evidenza empirica netta sulle cause di questo problema (la sottorappresentazione maschile tra i laureati), ma si indicano alcuni suggerimenti, come, ad esempio: incentivare i maschi a coltivare l’abitudine alla lettura, sensibilizzare gli insegnanti sui condizionamenti degli stereotipi, coinvolgere nelle attività formative persone che possano rappresentare esempi positivi, aumentare il numero degli insegnanti di genere maschile (soprattutto nella scuola primaria), e così via.

Tra le possibili spiegazioni della sovrarappresentazione femminile tra i laureati è importante sottolineare il ruolo della segregazione formativa. Il Rapporto EIGE 2017 mostra come gli stereotipi di genere si riflettano nei percorsi accademici di ragazze e ragazzi, e soprattutto mostra come, nell’Unione europea, le differenze di genere nei corsi di studio siano rimaste più o meno costanti negli ultimi 10 anni.

L’Economia dell’identità espande l’analisi economica tradizionale includendo nella funzione di utilità anche i costi e i benefici che derivano dalla scelta di percorsi formativi e professionali ritenuti dalle norme sociali consone al proprio genere. La prima conseguenza di tale inclusione è che, a parità di ogni altra condizione, i ragazzi massimizzeranno la propria utilità scegliendo corsi di studio e professioni “da uomo, e le ragazze scegliendo studi e mansioni “da donna”. Ma liberare le preferenze genuine dal condizionamento degli stereotipi e modificare la struttura degli incentivi per favorire la parità di genere nell’istruzione è condizione necessaria per l’allocazione ottimale di una risorsa scarsa e preziosa in ogni contesto sociale rilevante: il talento (o abilità innata, o intelligenza) di cui ciascun individuo è naturalmente e specificamente dotato.

Prof, quindi la regola giusta è 50 e 50?

Sì, più o meno, come ad Harvard.