Manovra, i costi occulti di ciò che non facciamo

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In periodo di finanziaria, ogni cosa sembra avere un cartellino del prezzo. C’è un dato di fatto – più o meno certo – ossia quanto si può spendere, e poi una lista di attività e iniziative che assorbono interamente, e a volte eccedono, il budget disponibile. Le iniziative vengono scelte in base alle priorità, che a loro volta derivano da considerazioni complesse sulla realtà, sui bisogni e su quanto appreso dal passato. E ogni cosa sembra avere un costo.

Esiste però un’intera categoria di costi che non compaiono perché derivano da ciò che non viene fatto. Non si tratta di voci di spesa evidenti e poi scartate, ma di voci di spesa che non vengono nemmeno considerate perché non sono mai rientrate nemmeno nei conteggi precedenti. Eppure il mondo è cambiato così tanto che non sarebbe così strano rivedere anche i criteri con cui osserviamo costi e investimenti. Per esempio: quanto costa non investire nell’occupazione femminile? L’occupazione femminile sembra una voce di spesa extra, quindi marginale, oppure una quota di una voce di spesa più ampia, quella dell’occupazione generale. Eppure calcolarla in questo modo ha portato l’Italia a fare continui passi indietro sul tema, ritrovandosi tra i Paesi europei con la più alta percentuale di famiglie monoreddito, a rischio povertà, e la più bassa fertilità.

Guardare al costo dell’eventuale investimento invece che ai costi altissimi del non investimento porta a diminuire la percezione del bisogno e ad ignorare la reale portata del danno. Quanto costa al nostro Paese avere un’occupazione femminile così bassa? Quanto ci costerà l’invecchiamento accelerato della nostra popolazione? Analogamente ci si potrebbe domandare quanto costa il congedo di paternità, che sappiamo essere un fattore chiave per influenzare occupazione femminile e fertilità. E’ una cifra che abbiamo: 10 milioni di euro per giorno di congedo. Quindi sappiamo quanto ci costa “acquistare” due o quattro o addirittura dieci giorni di congedo.

Ma sappiamo quanto ci costa non acquistarli? La mancata condivisione di gioie e responsabilità familiari – e attenzione perché essere da sole o essere in due a gestire una famiglia e un lavoro fa una differenza di un certo peso, in termini reddituali e pratici – che costi ha in termini di occupazione femminile, benessere delle famiglie, fertilità, invecchiamento della popolazione? Che costo avrà per i cittadini dell’immediato futuro, ossia sempre noi più i nostri figli?

Quanto ci sta costando dare per scontata la lista della spesa di partenza? Ancorarci al vecchio modo di calcolare i costi, che li vede solo come immediati e a breve termine, escludendo tutto ciò che non si può rinchiudere in quell’orizzonte temporale? La neo eletta deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez ha recentemente fatto una domanda simile al Congresso. Come mai, ha chiesto, ci sembra così ovvio trovare i soldi per armarci o per abbassare le tasse, e ci sembra così strano investire sul sistema sanitario?

“Sembriamo avere un ancoraggio post traumatico (“sticker shock”) al sistema sanitario così com’è, che non ci consente di ampliare la nostra immaginazione e di renderci conto di quanto questo ci costi davvero in termini di morti e perdita di produttività che derivano dalla mancanza di cure”.

Stiamo ancora qui a chiederci se i padri debbano stare a casa due o quattro giorni (o nessuno) quando nasce un figlio. Il nostro “sticker shock” è il pensiero che i figli siano qualcosa di più di ciò che viene partorito, qualcosa di meglio di un “carico di cura”, qualcosa di più importante di una produzione da incentivare a forza di bonus.

I figli sono il nostro Paese, sono “del” Paese: delle madri, dei padri, di chiunque creda nel futuro e sia pronto a fare i conti con quanto può costare non averne uno (di futuro, non di figlio).

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