L’incubo di “Vox”. Se si toglie la parola alle donne

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«Sono diventata una donna di poche parole»

è l’amara constatazione che fa di se stessa, sin dalle prime battute, Jean McClellan la protagonista di “Vox”, distopia femminista narrata dalla linguista Christina Dalcher. Le prime pagine di “Vox” sono un vero e proprio pugno diretto allo stomaco. Fanno talmente male da indurre a interrompere la lettura. Dalcher ci porta in un futuro che non sembra poi così tanto lontano.

In questa dimensione temporale a tinte fosche, la destra fondamentalista religiosa del Movimento della Purezza, partito conservatore, misogino e omofobo, conquista pian piano ogni singolo stato a stelle a strisce. Il numero delle donne elette in politica si assottiglia sempre di più finché si azzera completamente. Sono rimpiazzate da uomini che affermano di agire in nome di “ciò che è meglio nei confronti del Paese”. Le lancette dell’orologio scorrono inesorabilmente all’indietro. L’aborto è vietato, le donne non lavorano più, non possono leggere, né scrivere. Hanno perso la loro identità. Non sono più persone. Sono il “male necessario”, oggetti, corpi senza voce ridotti al silenzio e utili solo per la riproduzione. Al polso hanno un braccialetto che permette loro di dire solamente 100 parole al giorno. In media ogni essere umano nell’arco di una giornata, avverte Dalcher, ne dice 16 mila. Se il contatore elettronico che segna quella tragica conta sfonda la quota prevista, arriva la punizione. Terribili scariche elettriche che bruciano e consumano.

Jean è una linguista cognitiva. Il governo le impedisce di continuare i suoi studi, di essere una scienziata. È obbligata a conformarsi al modello della “Donna Pura”, la sfornatrice di figli e moglie adorante uscita dagli anni ‘50, con la messa in piega perfetta, che aspetta obbediente il marito e si occupa, mentre lui lavora in ufficio, delle faccende domestiche.

Jean a stento contiene la sua rabbia. Di giorno sente le minacciose vibrazioni del contatore che pulsa a ogni parola pronunciata, la notte si avvolge in una trapunta di parole invisibili e ripensa spesso a quello che le diceva l’amica Jackie, attivista femminista sin dai tempi del college, quando la invitava alle manifestazioni di protesta. Perché le involuzioni e il regresso del mondo non accadono mai per caso, né repentinamente. Sono piccoli passi indietro, attacchi continui che mirano a provocare assuefazione ed erodono i diritti e le conquiste a volte in un modo subdolo e infido.

Jean si era rinchiusa nella sua bolla, diceva all’amica che doveva studiare e che aveva cose più importanti da fare che protestare, Jackie invece l’ammoniva: «Pensa a quello che devi fare per essere una donna libera». Ed è proprio Jackie, che grazie alla penna di Dalcher, pronuncia delle parole che sono più di un monito, escono dalle righe del libro per parlare alle donne:

«Non avete idea di quello che vi attende mie care signore. Stiamo tornando dritte nella preistoria. Riflettete su quello che sarete un giorno, su quello che saranno le vostre figlie. Riflettete su espressioni come “autorizzazione coniugale” e “consenso paterno”. Immaginate come sarà svegliarsi una mattina e scoprire che non avrete più voce in capitolo su niente».

È proprio quello che accade in questa distopia. Neppure le bimbe sono risparmiate.
La piccola Sonia, la figlia della protagonista, ha sei anni e anche lei ha il braccialetto contatore di parole, a differenza dei fratelli maschi che hanno il polso sgombro e sono invece liberi di poter parlare. Sonia non spreca nemmeno una parola per raccontare la sua giornata. Sa quali sono le domande giuste da porle: quelle che richiedono soltanto un cenno del capo.

Quel limite di 100 parole soddisfa l’obiettivo che il patriarcato ha portato avanti per secoli. Soffocare la voce delle donne, punirle per aver parlato, respingere le loro testimonianze, deriderle con insulti sessisti che le liquidano come “fastidiose” o “isteriche”.

Dalcher dice di aver scritto il libro ispirata dalla la prima Women’s March (la marcia delle donne) su Washington nel gennaio 2017, poco dopo l’elezione di Donald Trump che non viene mai nominato. Ma l’allusione è chiara. “Vox” si apre durante l’amministrazione di un leader totalitario e misogino eletto dopo il mandato del primo presidente nero americano.
È il presidente degli Stati Uniti a cercare l’aiuto di Jean per curare suo fratello, che ha subito una lesione cerebrale. Approfittando di questo accadimento, Jean chiede che a lei e a sua figlia siano rimossi i braccialetti mentre lavora alla cura. È il primo passo per una ribellione che Jean porterà avanti per prima e che le permetterà di cambiare le cose.

Bisogna dire che il libro da distopia femminista vira nel thriller, nel romanzo pulp. La trama accelera repentinamente e quasi non dà respiro a scapito di quei temi sociali e politici portati avanti all’inizio che sopravvivono, ma perdono inevitabilmente tono e vigore. Senza dubbio è la prima parte ad essere potente, inquietante e claustrofobica. “Vox” funziona in un modo viscerale. Dalcher dice di essersi ispirata a “Il racconto dell‘ancella” di Margaret Atwood, un libro che dal 1985, anno in cui è stato scritto, non riesce a far svanire il suo potente messaggio e quella visione inquietante e in qualche modo minacciosamente reale di totalitarismo patriarcale che imprigiona le donne.

L’elemento più interessante di “Vox” è il modo in cui cerca di immaginare come le donne possano essere private facilmente dei loro diritti fondamentali. È un mondo terrificante, ma è anche in un certo senso familiare. Le donne fanno ancora fatica a prendere parola, a infrangere il silenzio. Il manterrupting (quando gli uomini interrompono i discorsi delle donne mentre stanno parlando) o il mansplaining (quando gli uomini spiegano le cose alle donne indipendentemente dal fatto che sappiano o no di cosa stanno parlando) lo dimostrano. Sono dei meccanismi così radicati che impediscono spesso alle donne di far sentire la loro voce o di essere udite quando parlano.

La distopia di “Vox” insegna a trovare il coraggio di rompere il silenzio, a infrangerlo. Leggerlo senza dubbio fa riflettere sul nostro presente. Spinge a esaminare la nostra stessa realtà diventata così preoccupante, un valore oggi decisamente irrinunciabile.


Titolo: Vox

Autrice: Christina Dalcher

Casa Editrice: Editrice Nord

Anno di uscita: 2018

Prezzo: 19€