Startupper ribelli: si parte con una pioniera del biotech

lauraindolfi

Puoi avere una famiglia che sogna per te un futuro rassicurante come da tradizione e poi, dai banchi di scuola, poco più che adolescente, vedere un mondo che si apre e capire che la tua vocazione è un’altra. Puoi fare ricerca biomedica in uno degli istituti più prestigiosi del mondo e poi diventare imprenditrice perché la tua attività scientifica raggiunga l’unico obiettivo che desideri: avere un impatto reale sulla società. «Bisogna ragionare fuori dagli schemi. E in questo la mia professoressa di matematica al liceo ha giocato un ruolo fondamentale, le sarò per sempre grata», esordisce Laura Indolfi, cofondatrice e amministratrice delegata di PanTher Therapeutics, startup del settore biotech con sede a Boston, negli Stati Uniti . «E quell’insegnante non ha aperto un mondo solo a me, la metà dei miei ex compagni di classe si è iscritta a facoltà scientifiche e molte erano ragazze che poi hanno intrapreso una carriera nel settore STEM». Nata nel 1979 a Somma Vesuviana, una laurea in ingegneria dei materiali e un dottorato in biomateriali conseguiti alla Università Federico II di Napoli, Laura Indolfi oggi vive a Boston, dove insieme ad altri due soci, Elazer Edelman, professore al Massachusetts Institute of Technology e David Ting, oncologo al Cancer Center del Massachusetts General Hospital, ha trasformato un progetto accademico in una startup biotech. PanTher Therapeutics ha messo a punto un dispositivo medicale in grado di rilasciare farmaci localmente, senza che si disperdano in altri organi del corpo che non li devono ricevere, da una parte limitando gli effetti collaterali e dall’altra massimizzando l’efficacia stessa del farmaco. Si tratta in particolare di agenti chemioterapici, quindi destinati alla cura del cancro, e la prima applicazione che è stata messa a punto è destinata al tumore al pancreas. Questa patologia, che ha un altissimo tasso di mortalità, è particolarmente complessa da trattare proprio per la conformazione del pancreas, che ha pochissimi vasi sanguigni e quindi è più difficilmente raggiungibile con la chemioterapia. «La tecnologia che abbiamo sviluppato è in pratica una specie di cerotto che, arrotolato, viene inserito all’interno del corpo del paziente attraverso un catetere e spinto in prossimità della parte da curare. Quando esce dal tubicino il cerotto si apre e attraverso una sorta di joystick il medico lo guida e lo posiziona direttamente sulla parte da trattare», spiega Indolfi. La capacità di portare il farmaco precisamente dove serve rende anche possibile l’utilizzo di sostanze che possono essere risultate tossiche per altri organi, ma non per quello che deve ricevere il trattamento. L’idea e la tecnologia alla base del dispositivo realizzato da PanTher sono nati da una collaborazione di ricerca tra due realtà del Massachusetts, Mit e MGH, che ha avuto inizio nel 2012.

L’intervista integrale è contenuta nell’ebook “Capitani oltraggiosi, storie ribelli di starupper italiani“, disponibile gratuitamente sul sito de Il Sole 24 Ore dal 26 giugno.