Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta: “Resto libero di pensare e scrivere”

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Non arrendetevi mai ai desiderata degli editori, lottate per vedere pubblicati i vostri articoli. Noi giornalisti abbiamo una cosa che è sovrana su tutte: la notizia. Se siamo davanti a una notizia dobbiamo fare di tutto per scriverla. Troppo spesso aspettiamo i comunicati stampa, invece è importante parlare con le persone. Troppo spesso siamo noi stessi a essere remissivi nei confronti degli editori e dei direttori. Dobbiamo sempre ricordarci che l’articolo 21 della Costituzione sancisce il diritto/dovere a informare ma, guardando l’altra faccia della medaglia, è soprattutto il diritto della gente a essere informata. In nome dell’articolo 21 non ci possiamo arrendere e dobbiamo continuare a sognare che questo mestiere possa migliorare, tornando a sporcarci le suole delle scarpe e a parlare con la gente. Io amo i cronisti di strada, non quelli da scrivania”.

Paolo Borrometi, giornalista siciliano di 35 anni, avrebbe detto anche queste parole al recente festival del Giornalismo di Perugia dove era stato invitato a parlare.  Festival a cui non ha potuto partecipare perché aveva appena saputo dell’attentato che la mafia aveva organizzato, nei minimi dettagli, a suo danno e che è stato  sventato.

Borrometi, nato a Ragusa ma cresciuto a Modica, da anni vive sotto scorta. Ha dovuto lasciare la sua Sicilia, la sua famiglia e i suoi amici. Eppure lui non drammatizza. Don Abbondio diceva che uno se non ce l’ha il coraggio non se lo può dare. Ecco Borrometi, sebbene lui dica che non è un eroe, ma è solo uno che fa il suo mestiere, il coraggio ce l’ha nel dna.

borroAlla notizia dell’attentato preparato nei suoi confronti, si è sforzato di guardare il bicchiere mezzo pieno: “Ho pensato – afferma – che lo Stato ha vinto, che i problemi ci sono, ma in questo caso io sono vivo grazie alla magistratura di Catania, di Siracusa, di Ragusa che mi hanno dato la scorta e hanno messo in campo un’azione di prevenzione reale. Hanno monitorato i “galantuomini” come li chiamava Sciascia, e grazie alle intercettazioni ambientali hanno scoperto il tentativo di attentato. Purtroppo era tutto preparato nei minimi dettagli, avevano perfino preso una casa come base operativa a Pozzallo, vicino alla mia Modica”. D’altronde, spiega Borrometi, “io vivo da anni con condanne a morte, ho 14 processi in corso. So che Cosa nostra non dimentica, so che ci riproveranno, ed è una minaccia che mi toglie il sonno”.

Borrometi, laureato in legge, proveniente da una famiglia di avvocati da generazioni, ha scelto la strada del giornalismo senza esitazioni, seguendo la sua passione di ragazzo. Oggi è direttore del sito Laspia.it e collaboratore dell’Agi. Oltre a essere presidente dell’associazione Articolo 21. Lui che rischia la vita e che ha subito già un’aggressione da parte di alcuni uomini incappucciati nel 2014 che gli è costata una menomazione alla spalla, è un giornalista precario. “ Io – racconta – sono cresciuto con il mito di Giovanni Spampinato (giornalista ragusano assassinato nel 1972, ndr), una figura che ho incontrato studiando;  la cosa che mi stupì è che la stragrande maggioranza degli abitanti della provincia di Ragusa non la conoscevano. Quei pochi che la conoscevano dicevano che Giovanni ‘se la fosse cercata’.  Fin dagli anni del liceo ho cominciato ad appassionarmi al giornalismo e alla comprensione delle dinamiche della nostra terra. Continuando negli studi ho cercato di approfondire. Mi sono scontrato con la Scicli (paese noto per Montalbano) mafiosa. La mia prima inchiesta, nel 2012 ha contribuito allo scioglimento del comune di Scicli per infiltrazioni mafiose”.

paolo_borrometiUn altro episodio che ha segnato il percorso lavorativo di Borrometi è stato l’incontro con Ornella Inglese, la madre del ragazzo di 32 anni ucciso a Vittoria. “Questa madre – racconta Borrometi – mi guardò negli occhi e disse: se lei è un vero giornalista mi aiuti a trovare la verità per mio figlio”. Episodi che fanno dire a Borrometi: “Io non ho cercato la mafia. Sono i mafiosi che hanno incrociato il mio percorso di vita”. Un percorso non facile con “tanti momenti di sconforto e di solitudine, quando torno a casa con gli uomini di scorta. Torno a casa e mi guardo allo specchio e mi rendo conto che ho perso la libertà fisica, ma ho preservato la libertà di pensiero, di parola e di scrittura. Non faccio nulla di eroico o esemplare, faccio solo il mio dovere che è quello di raccontare”.

Pur fuori dalla sua Sicilia, Borrometi continua a produrre inchieste. Di recente ha acceso i riflettori sul presunto voto di scambio riguardante il deputato siciliano Giuseppe Gennuso, poi arrestato (ai domiciliari) dai carabinieri di Siracusa. Sono inchieste che raccontano la sua terra, in particolare il sud-est siciliano, la provincia di Ragusa. Quella che Sciascia chiamava “la provincia babba” perché non vi erano capimafia importanti. Quella che “babba – spiega Borrometi – non è mai stata.  Ci siamo consolati con questa idea. Ragusa è la prima provincia siciliana per ricchezza, c’è il grande mercato ortofrutticolo di Vittoria, non è mai stata una provincia ‘babba’. E’ stata la grande lavatrice dei soldi della mafia’”.  Mafia, anzi mafie, che “si combattono con la conoscenza e la comprensione di chi siamo e di quanto ci hanno tolto nel presente e nel futuro. Perché i soldi delle mafie sono  soldi tolti a ognuno di noi”.

In Italia dal 2006 ad oggi, sono oltre 3600 i giornalistiche  sono stati minacciati. Secondo i dati dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione, aggiornati al 31 marzo, nel 2018 sono stati 76 i giornalisti e le giornaliste che hanno ricevuto minacce a cui si aggiungono altri 19 cronisti e croniste le cui vicende, relative ad anni precedenti, sono emerse solo ora. Una ventina sono i giornalisti che vivono sotto scorta.

  • Carmela |

    Dott. Re Borronetti, sabbe un onore se lei incontrasse gli alunni della mia scuola per parlare di legalità e lotta alle mafie. Sabbe uno stimolo notevole per spingere i cittadini di domani al rispetto delle regole e della convivenza civile. Spero, anche se molto difficile, che un giorno lei possa incontrare i nostri giovani alunni.

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