Se #MeToo resuscita perfino Monica Lewinsky

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Uno dei rischi maggiori nei quali si incorre quando la pancia si sostituisce al cervello è la distorsione dei fatti e la loro strumentalizzazione tesa a dimostrare una teoria pregressa. Parlando in italiano e non in arzigogolese stretto: succede che a pensar male si fa peccato ma ci si prende spesso.

Così stamattina leggendo dell’ultima dichiarazione di Monica Lewinsky che, appena a 20 anni di distanza dallo scandalo più clamoroso d’America dopo il Watergate, grazie al movimento #MeToo comprende di essere stata vittima di molestie sessuali da parte di quello che, all’epoca dei fatti, era l’uomo più potente del mondo: il presidente Clinton. E io casco dalla sedia, e con gran tonfo per giunta. Perché al netto del cinismo che questa ex stagista made in Beverly Hills (90210) mostrò tenendo per un anno e mezzo un abito macchiato dello sperma del presidente (quella macchia era datata 27 febbraio 1997 e lei fu in grado di presentarla come prova a luglio 1998) quel che resta è un tentativo piuttosto evidente di tirare una nuova mazzata ai Dem.

L’ultimo scandalo sessuale americano che ha travolto l’uomo più potente di Hollywood, che per inciso è stato uno dei più munifici finanziatori della campagna elettorale di Hillary Clinton, si sta lentamente spegnendo: non bastano hashtag e vestiti da prefica per mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulle molestie che le donne dello showbiz hanno patito e patiscono pur di dare la scalata all’Oscar. E se non bastano i red carpet e i lustrini per ricordare al mondo che un uomo che chiede sesso in cambio di un posto di lavoro è perseguibile a norma di legge, figurarsi se possono bastare le denunce delle impiegate di banca in tailleur antracite. Il presidente Trump, tra l’altro, proprio di recente è stato accusato da una pornostar di avere tradito la moglie Melania e per quei puritani bacchettoni degli americani un tradimento del talamo nuziale è quasi più grave di uno scandalo colossale come il Russiagate. Insomma, quale momento migliore per tirare fuori dall’armadio Monica e il suo vestito blu? Quale donna più di lei ha tenuto puntati addosso gli occhi del pianeta mentre raccontava di quelle 12 volte in cui fece un blow job al suo capo?

Si badi però, che la signorina (o signora, non saprei) Lewinsky chiarì sempre di non essere stata costretta o minacciata dal suo datore di lavoro. Nessuno le disse: “Eih, sweetie, o scendi sotto la scrivania o da domani ti devi trovare un nuovo posto di lavoro”. Lei, come molte donne, si era innamorata dell’uomo sbagliato: uno che evidentemente teneva così tanto a lei da non voler nemmeno farci sesso fino in fondo, da non voler condividere un orgasmo, no, niente: blow job e tornare a firmare documenti sul futuro del mondo con l’animo rinfrancato e il cavallo alleggerito.

Sull’enorme squallore di questa storia direi che si sono consumate sufficienti damigiane di inchiostro, spese a voler dimostrare due teorie contrapposte: Bill era un fedifrago pervertito, Monica una sveglissima e cinica peripatetica. Fino a due ore fa personalmente pensavo che la verità si trovasse, forse, al centro di queste posizioni.

monica_lewinskyPoi eccola di nuovo: capello scuro e – se Dio vuole – non più cotonato, mento un filo meno imponente che negli anni ’90 e stessa identica odiosa fintissima ingenuità usata nel dichiarare: “Ora ho capito, grazie al movimento #MeToo che anche io fui vittima di un abuso di potere”. In attesa di capire quale mega studio legale newyorchese contatterà la quarantaquattrenne ex stagista per capire se esistono i presupposti per una nuova causa contro un uomo che continua ad essere uno dei più potenti del suo Paese, io mi domando come sia possibile che qualche donna si senta rappresentata dall’oltraggiosa dichiarazione di questa signora che, a 20 anni di distanza, continua a cercare solidarietà raccontando una storia di ordinario squallore che niente, niente davvero, ha a che spartire con le molestie sessuali.

Mi verrebbe da pensare a un danno collaterale di una guerra giusta nelle intenzioni ma (a mio modo di vedere, sia chiaro) sbagliata nei mezzi: sono contraria alle chiacchiere da talk show e favorevole alle azioni concrete, consumate senza l’occhio di bue a illuminare la protagonista. In tutta questa campagna di hashtag e manifesti, cortei e scioperi, ne ho viste poche, ma forse è colpa della miopia dalla quale sono drammaticamente affetta.

E ora arriva Monica Lewinsky che racconta alle donne del mondo che pure lei, povera ventiduenne, è stata molestata. A ventidue anni, ovviamente, come Asia Argento ché a dar retta a loro a ventidue anni puoi fare la stagista alla Casa Bianca, girare film a Hollywood ma non sei in grado di capire se un uomo sta abusando di te.

Tutto bene: i bambini si trovano sotto i cavoli e a metterceli sono le cicogne che partono dalla Lapponia su indicazione delle renne di Babbo Natale.