Onu: obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 ancora lontani

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“Realizzare l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze”. Recita così il quinto obiettivo dei Sustainable development goals (SDGs): gli obiettivi di sviluppo sostenibile che tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero raggiungere entro il 2030. Dovrebbero. Sì perché per molti di questi temi (fame e povertà, energia pulita, cambiamento climatico, accesso ai servizi sanitari e all’acqua potabile e molti altri che potete scoprire qui) il traguardo fissato dai SDGs è ancora molto lontano. È questo il caso della disuguaglianza di genere che, come si legge nel report 2017 pubblicato pochi giorni fa: “Persiste in tutto il mondo, privando le donne e le ragazze dei loro diritti fondamentali e opportunità”.

Un esempio? Secondo le indagini svolte dalle Nazioni Unite tra il 2005 e il 2016 in 87 Paesi (tra cui 30 che non appartengono a quelli definiti “in via di sviluppo”), almeno una donna su cinque (circa il 19%) tra i 15 e i 49 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale dal proprio partner nel corso dei 12 mesi precedenti. “Nel 2012, quasi la metà delle donne vittime di omicidi intenzionali in tutto il mondo sono state uccise dal partner o da un familiare. Per gli uomini ciò si verifica solo nel 6% dei casi”, si legge nel report. Secondo le Nazioni Unite, all’origine di questa piaga sociale c’è la diffusa impunità degli autori di femminicidio a causa “dell’accettazione sociale di questo reato in molte aree del mondo”. Occidente incluso.

schermata-2017-08-02-alle-16-56-16Altro aspetto che sembra non essere migliorato rispetto alla precedente rilevazione è quello del cosiddetto “lavoro di cura”. Secondo il report 2017 le donne continuano, infatti, a impiegare più del triplo del tempo rispetto agli uomini nella cura della casa e dei figli. “Il tempo impiegato per i lavori domestici non retribuiti e la cura dei figli – scrive l’Onu – sconvolge la capacità delle donne di impegnarsi in altre attività, come l’istruzione e la formazione”. Un problema che riguarda, allo stesso modo, sia i Paesi considerati in via di sviluppo, sia quelli che l’evoluzione, anche su questi temi, avrebbero dovuto già raggiungerla.

Non conosce differenze geografiche nemmeno la mancanza di donne ai posti di vertice. “La partecipazione delle donne alla politica (intesa sia come partiti politici sia come seggi in parlamento ndr.) – si legge nel report – ha raggiunto il 23,4% nel 2017 (solo 10 punti percentuali in più rispetto al 2000 ndr.). Mentre nella maggior parte dei 67 paesi sui quali disponiamo dei dati dal 2009 al 2015, meno di un terzo delle posizioni di dirigenziali è detenuto da donne”. Per quanto riguarda la scarsa rappresentanza politica, secondo le Nazioni Unite, qualche (piccolo) progresso è stato fatto con l’introduzione delle quote di genere, adottate da 75 paesi su 190. “Le elezioni 2016 hanno mostrato che la strategia sta funzionando. Tuttavia, le quote devono essere periodicamente rivisti e aggiornate per garantire un continuo progresso”, precisa il report.

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Questi dati negativi non significano che però che non sia stato fatto nessun progresso. Secondo le Nazioni Unite, nel corso degli ultimi anni, è migliorato soprattutto l’accesso all’istruzione per le bambine di tutto il mondo, e anche il livello di mortalità materna. Inoltre, riferisce il report 2017: “Sono stati fatti progressi nel campo della sessualità e della salute riproduttiva e diritti riproduttivi”. Tra il 2000 e il 2015, per esempio, sono diminuite del 21% le gravidanze tra le adolescenti. I progressi maggiori sono stati fatti in Asia centrale e meridionale che ha ridotto il tasso di natalità del 50%. In leggero declino anche il matrimonio infantile, che tuttavia resiste nell’Asia meridionale e nell’Africa sub-sahariana. Se all’inizio degli anni 2000 1 bambina su tre era vittima di questo tragico destino, nel 2015 questo rapporto si è abbassato a una su 1 quattro. Si tratta di piccoli passi che fanno ben sperare, anche se il cammino è ancora decisamente lungo e accidentato.