Diritti delle donne: 2017 anno nero, e l’Italia fa (molto) meglio di USA e Russia

Si svolge in questi giorni a Pisa il Settimo Congresso Internazionale della “Società Italiana delle Storiche”: 220 interventi sulla storia della donna, con un’estensione notevole sia in termini temporali che geografici. Chissà se tanta ampiezza di prospettiva ci darà una chiave di lettura sul motivo per cui oggi la condizione femminile nel mondo occidentale sembra essere sotto attacco.

Uno degli interventi, quello della dottoranda in Storia all’Università della Sapienza Elisabetta Serafini, tratterà dell’assenza delle donne dai libri di storia. Assenti perché irrilevanti oppure perché messe nell’angolo da schemi che non le prevedono? E, soprattutto, quali sono le conseguenze, storiche e attuali, di questa assenza?

Alcune conseguenze le abbiamo misurate una ad una in un inizio d’anno in cui i diritti civili delle donne di tutto il mondo sono stati messi apertamente sotto attacco. Ecco come:
1) una delle prime decisioni prese dal nuovo presidente americano è stata bloccare i finanziamenti ai programmi sanitari per la pianificazione famigliare nei paesi del terzo mondo;
2) immediatamente dopo, lo stesso presidente ha nominato a Giudice della Corte Suprema un uomo che è noto per non essere “amico delle donne”, e in particolare per aver autorizzato le aziende ad addurre motivi religiosi per negare la copertura sanitaria per la pianificazione familiare alle proprie dipendenti;
3) in perfetta sincronia, il parlamento russo ha approvato una legge che depenalizza la violenza domestica: vuol dire che se si viene picchiati in famiglia ma chi ci picchia non è già stato condannato in passato, l’abuso viene classificato come un semplice illecito amministrativo, punibile con una multa o con una detenzione di 15 giorni.

Che cosa ne pensano le donne e gli uomini del mondo occidentale? Il movimento “United State of Women” ha dichiarato una “settimana di azione” tra il 18 e il 25 febbraio, e sul suo sito sono disponibili una serie di strumenti per organizzarsi e far sentire la propria voce. Si rivolgono ai tre milioni di donne che hanno marciato il 20 gennaio, ma anche a quel 53% di donne bianche che quattro mesi fa hanno votato per Trump e che magari hanno avuto il tempo e il modo di cambiare idea. Potrebbero e dovrebbero forse parlare anche alle Europee, visto che secondo un recente sondaggio della Commissione Europea un nostro concittadino su quattro (donna o uomo che sia) ritiene che la violenza sulle donne possa avere delle attenuanti come l’abbigliamento, il tasso alcolico, le consuetudini sessuali.

Che cosa cambia quando invece ci siamo: nei libri di storia, ai tavoli decisionali, nei parlamenti? Può succedere quello che avviene in questi giorni in Italia, dove una modifica del codice penale che completa la legge sul femminicidio, che tra l’altro prevede l’ergastolo se l’omicidio è commesso contro l’ascendente o il discendente (quindi se si uccidono i propri genitori o i propri figli), ha accolto anche l’emendamento della deputata PD Fabrizia Giuliani. Che cosa ha proposto la deputata? Che sia punito con carcere a vita anche il caso in cui il delitto avvenga “contro il coniuge, anche legalmente separato, contro la parte dell’unione civile o contro persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente”. Che sia vi sia aggravante, insomma, anche se uccidi la tua compagna o ex, e non solo – caso a cui si fermava stranamente la norma precedente – i tuoi genitori o i tuoi figli. Ecco, l’attenzione di una parlamentare può far sì che i diritti delle donne ricompaiano, quasi magicamente, anche nelle pieghe della legge.